Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
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«La situazione relativa a tutte le mie risorse personali è completamente sana», aveva giurato Li Yonghong quando il 20 febbraio 2018, da socio di maggioranza e presidente del Milan acquistato nel 2016-2017 per 740 milioni dalla Fininvest di Silvio Berlusconi, aveva diffuso questo comunicato per smentire i dubbi giornalistici sulla sua solidità finanziaria.
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Ora, a 6 anni di distanza, si apprende che è solo per questo comunicato che la Procura di Milano il 29 giugno 2018 aveva indagato l’imprenditore cinese: non appunto per ipotesi di riciclaggio, ma per falso in bilancio. Reato di cui adesso l’ultima dei pm milanesi avvicendatisi, Paola Biondolillo, titolare del fascicolo dall’ottobre 2021 a termini già scaduti per ulteriori indagini, chiede all’Ufficio Gip l’archiviazione.
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Il gioco dell’oca giudiziario, tentato con rogatorie internazionali schiantatesi nelle laconiche risposte asiatiche, ha ricostruito che in cima alle catene societarie (spesso alle Isole Vergini) finanziatrici di tre caparre di 100, 100 e 50 milioni, o dei 140 e 25 milioni nel closing, c’erano o società della danarosa moglie del terzultimo proprietario del Milan prima di Elliott e RedBird; o istituti in teoria solidi come la banca di investimenti Huarong di Hong Kong, dietro cui però non si ha idea di chi si celasse.
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«Pur a fronte di un’evidente opacità delle operazioni che hanno portato all’acquisto del Milan con l’intervento di numerosi istituti bancari esteri e fondi off shore, e senza che in molti casi sia chiaro chi fosse il “beneficial owner” dei fondi usati per l’acquisto», la Procura scrive che il falso in bilancio non è contestabile a Li Yonghong, che «disponeva di un’indubbia consistenza patrimoniale e senz’altro poteva fare affidamento (come in effetti avvenuto) su ampie risorse finanziarie».
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