1 - LA COPPIA VOLEVA VENDERE I SEGRETI DELLE AZIENDE ITALIANE E ORA È CACCIA AI COMPLICI
Giuliano Foschini e Fabio Tonacci per “la Repubblica”
Francesca Occhionero
Quello che Giulio Occhionero non dice, lo rivela il software spia da lui stesso progettato. Sottoposto al vaglio degli esperti di cybersicurezza, EyePiramid si dimostra essere un grimaldello tarato sull’Italia e sullo spionaggio di informazioni soprattutto di tipo economico e finanziario.
Un malware, acquistato negli Stati Uniti e rimodulato personalmente da Occhionero, che, dunque, accredita la pista investigativa al momento più probabile: quella che vedrebbe i fratelli Giulio e Francesca Occhionero “spacciatori” a pagamento di notizie riservate riguardanti grandi operatori e aziende strategiche italiane su una rete internazionale occulta. E contemporaneamente spioni a uso e servizio di qualcuno in Italia: le mail trafugate contenevano alcune parole chiave postate dall’ingegnere, ed erano tutte in italiano.
MEL SEMBLER GIULIO OCCHIONERO
Per individuare ora i terminali del presunto mercato degli Occhionero, che sospetta l’accusa avevano fatto dello spionaggio un business, è necessario attendere l’esito della rogatoria negli Stati Uniti dove si trovano i server. Nel frattempo la Procura di Roma ha avviato indagini patrimoniali sui due arrestati e sui loro contatti più frequenti, nella convinzione di trovare transazioni all’estero.
D’altronde, gli Occhionero avevano fino al 2013 una società ben schermata: la “Westlands Securities srl Limited”, cervello italiano ma cuore fiscale e finanziario nei paradisi fiscali di Malta e Isole Turks e Caicos, che si era occupata di uno strano affare in Italia mai compiuto. Nel 2003 diventarono consulenti del governo americano per un’infrastruttura al porto di Taranto.
francesca maria occhionero
Nei progetti, come apparve sul sito del Pentagono (scatenando le ire delle associazioni pacifiste pugliesi) c’era un nodo telematico diretto tra la base navale e gli americani. Partner dell’operazione doveva essere la società Advanced Technology Services, il cui nome appare in uno dei cablo della diplomazia americana rivelati da WikiLeaks.
Parla “Eyepiramid”, quindi. L’ingegnere analista quantistico, come lui stesso ama definirsi, aveva reso quel vecchio software un fantasma: la versione che aveva messo a punto a febbraio del 2013, e con la quale aveva attaccato molti dei quasi duemila profili sicuramente hackerati, è risultata visibile a un solo antivirus. Questo però non significa che sia riuscito a colpire i grandi big a cui aveva inviato la mail infetta.
Sicuramente non è entrato nel computer del presidente della Bce, Mario Draghi, che aveva sì attivo il vecchio indirizzo di Banca d’Italia (essendone presidente onorario) ma non scaricava da tempo la posta elettronica di quella casella. E dunque non avrebbe mai potuto aprire il software spia che gli Occhionero gli avevano inviato. Al momento non c’è nemmeno prova che gli account di Renzi e Monti siano stati violati. Certo, però, sono stati attaccati.
giulio occhionero
«Ma il mio lavoro è vendere software che analizzano gli indici di borsa e il risk management, in base ad algoritmi di mia invenzione. Non ho spiato nessuno», si è difeso Occhionero, dimostrando di non essere l’uomo qualunque che vuol far credere. La prima notte trascorsa in una cella del carcere di Regina Coeli non lo ha smosso di una virgola. Di fronte al gip Maria Paola Tomaselli e al pm Eugenio Albamonte, durante l’interrogatorio di garanzia, ha negato tutte le accuse.
«Non c’è una sola parola di verità dentro l’ordinanza di arresto». Con piglio che a tratti ha assunto i toni aggressivi della vittima braccata. «Mi avete incastrato voi. La polizia mi ha hackerato il computer con un malware, avete compiuto un reato? Per questo, dubito che gli americani vi faranno entrare nel server. Voi sostenete di aver trovato sul mio computer dati e informazioni trafugate, ma potrebbe essere stato chi mi ha attaccato ad averle inserite», questo il senso della sua versione, così come riporta il suo legale Stefano Parrella.
Un muro. Sul quale si sono infrante le domande ogniqualvolta l’interrogatorio è virato sulle presunte intercettazioni abusive, sui politici schedati, sui due server statunitensi per i quali, ancora ieri, non ha voluto rivelare le password per l’accesso. «Questione di privacy, dentro ci sono cose mie personali».
francesca maria occhionero
Ai magistrati ha consegnato una favola che non sta in piedi. «Sono un nullatenente. Sto cercando lavoro, avevo una proposta interessante a Londra che adesso grazie a voi è saltata... da due anni mi mantengo con i 70mila euro che mia madre mi ha dato, frutto della vendita del nostro appartamento di Santa Marinella». E nullatenente si è dichiarata anche la sorella Francesca Maria. «Di informatica non so niente, nei server ci tenevo le bollette di casa».
2 - UN AGENTE-MASSONE FACEVA DA TALPA “PREPARÒ IL DOSSIER SUL PM DELL’INCHIESTA”
Marco Mensurati e Giuseppe Scarpa per “la Repubblica”
In ogni spy story che si rispetti c’è sempre una talpa. Quella dell’inchiesta sui fratelli Occhionero appartiene però a una specie particolare, a suo modo tipica del sottobosco romano: quella del poliziotto traffichino, politicizzato e massone che cerca di conquistare i favori del potente di turno raccontando dettagli delle indagini in corso.
GIOVANARDI
Maurizio Mazzella, questo il nome dell’uomo che adesso è indagato per favoreggiamento dalla procura di Roma, è un poliziotto dal profilo tipico. Agente della stradale di Salerno, era stato più volte sospeso dal servizio per motivi disciplinari, l’ultima ad agosto, quando aveva presentato all’amministrazione certificati medici fasulli. Ciononostante, era molto ben inserito negli ambienti romani che frequentava assiduamente per motivi “politico sindacali”.
Dopo quella sospensione, raccontano dalla polizia, si era sfogato con alcuni colleghi confessando l’intenzione di entrare in politica con Carlo Giovanardi di cui si professava grande amico. L’ex ministro non smentisce: «Sì lo conosco, è un sindacalista della polizia. Andiamo spesso a cena, a Roma lo frequentano in molti. Mi sembra un’ottima persona e mi stupisce che sia finito in una storia come questa». Quella con Giovanardi non era l’unica amicizia vantata, o millantata, da Mazzella: l’altra, forse la più importante, era quella con l’ex capo della polizia Alessandro Pansa, attualmente capo del Dis.
capo della Polizia Alessandro Pansa
Che le amicizie siano vere o immaginarie, comunque, poco importa. Ciò che importa è il ruolo che la loro ostentazione può aver avuto in tutta questa vicenda. È infatti proprio a Mazzella e ai suoi contatti che il Gip si riferisce quando spiega come i due fratelli Occhionero potessero contare su «una rete di contatti che consentiva loro di acquisire informazioni circa il presente procedimento penale» in ossequio a una ferrea volontà di «conoscerne i particolari e influenzarne gli esiti».
Nell’interrogatorio Giulio Occhionero ha cercato di sminuire il più possibile il ruolo di Mazzella, nel mirino perché avrebbe fornito informazioni sul pm dell’inchiesta Eugenio Albamonte. Volevo capire — ha spiegato — se il magistrato che indagava era competente di informatica, così quando seppi che aveva tenuto una conferenza chiesi a Mazzella di procurarmi il testo del suo intervento. Tutto qui.
Inutile dire che la versione ha convinto poco gli inquirenti, se non altro perché la chiamata tra Occhionero e Mazzella, intercettata, è avvenuta il 5 ottobre, lo stesso giorno delle prime perquisizioni. Nelle prossime settimane, Mazzella verrà sentito. L’obbiettivo è capire quale delle due anime di questo strano agente ha agito in questa vicenda, se quella del traffichino o quella del poliziotto ben inserito negli ambienti che contano.