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    "HO IMPARATO A FARE I PROFUMI, E' COME L'ALCHIMIA" – DOPO L’ASSEGNAZIONE DEL VITALIZIO DELLA LEGGE BACCHELLI, PARLA ALDO NOVE: "SUL MIO TELEFONO CENTINAIA DI MESSAGGI. CHE COSA VOGLIONO? LE MIE RADIOGRAFIE? - ADESSO STO PROVANDO A CAMBIARE NOME, MI SONO STUFATO DI QUESTO PSEUDONIMO - PASOLINI DISSE: LA PAROLA SPERANZA È CANCELLATA DAL MIO VOCABOLARIO. NON AVERE SPERANZE È IL MODO MIGLIORE PER NON RESTARE DELUSI. OGGI NON SO SE POTREBBE ESISTERE UN PASOLINI. AVREBBE FORSE UN BLOG, CENSURATO IN CONTINUAZIONE..."


     
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    Elisabetta Rosaspina per il Corriere della Sera

     

    aldo nove 2 aldo nove 2

    Il mare del suo rifugio a Palmi, in Calabria, la chitarra, il profumo, i sogni di un alchimista, anche; poi l’ineluttabile ironia in agguato, ma forse un po’ più malinconica del solito; e ingombranti dosi di rabbia, una malcelata dolcezza e ancora tanta, tantissima poesia. Ecco che cosa c’è di nuovo — e di antico — nella vita del «cannibale», 25 anni dopo.

     

    Aldo Nove ne compirà il prossimo mese appena 55, e intanto se ne sta, sulla difensiva, nel suo splendido aventino a nord di Reggio Calabria. È in convalescenza. E avrebbe preferito che non si tornasse a parlare di lui per il vitalizio che il governo accorda, nel nome di Riccardo Bacchelli, a «cittadini illustri», scrittori, artisti, artigiani, scienziati, musicisti, in grave affanno economico e di salute, come lo fu quasi quarant’anni fa l’autore de Il mulino del Po.

     

    Non importa che in quell’asfissiante stato di necessità sia stato preceduto da monumenti della letteratura italiana come Anna Maria Ortese, Roberto Rebora, Guido Ceronetti e Alda Merini, o eroi di guerra, come Giorgio Perlasca, con i quali il Paese rimarrà sempre, a prescindere da qualunque contributo finanziario, in debito culturale o storico.

     

    aldo nove mauro corona aldo nove mauro corona

    Dopo aver pubblicato 35 opere, fra romanzi, saggi, raccolte di poesie, sceneggiature, le biografie di Mia Martini e di Franco Battiato, dopo aver marcato una generazione e scandalizzato la precedente, Nove patisce l’intempestività dei messaggi e delle telefonate che si accumulano a centinaia sul suo cellulare nei giorni successivi all’annuncio ufficiale di questo riconoscimento da parte del ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. Li subisce, a tratti, come un’intrusione molesta: «Che cosa vogliono? Le mie radiografie?».

    aldo nove isabella ferrari aldo nove isabella ferrari

     

     

     

    Né la malattia né la disattenzione di gran parte del mondo editoriale gli hanno impedito negli ultimi anni di continuare a scrivere, a produrre, a pubblicare. A sperimentare, soprattutto.

     

    Come a metà degli anni Novanta quando, dopo una laurea in Filosofia morale, il ragazzo di Viggiù, orfano a 15 anni di entrambi i genitori, spiazzò la critica ed entusiasmò il pubblico, in particolare quello più giovane, con i racconti Woobinda e altre storie senza lieto fine (1996, Castelvecchi), seguiti due anni dopo da Superwoobinda (Einaudi, 1998). Uno dei suoi incipit è diventato un classico della narrativa: «Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal…». Era nata una «corrente» nuova, «per lo stile accattivante, il linguaggio crudo e i temi violenti», certifica la Treccani. Ma anche per una visione della società e dei suoi difetti che ne anticipava le successive degenerazioni.

    aldo nove woobinda aldo nove woobinda

     

    Erano sbarcati i «cannibali», «il pulp del pulp», si cercavano definizioni per la prosa di Tiziano Scarpa, Niccolò Ammaniti, Alda Teodorani, Aldo Nove, alias di Antonio Centanin. Una generalità che è una citazione. Anzi, un omaggio alla Resistenza: «Aldo dice 26 x 1» fu il messaggio in codice diffuso dal Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (Clnai) per indicare il giorno (il 26 aprile) e l’ora (l’una di notte) fissati per l’insurrezione. Aldo e 2+6+1 fa Aldo Nove.

     

    «Ma adesso sto provando a cambiare nome» annuncia.

     

    Peccato, ha un suo valore commemorativo.

    «Sì, ha un suo valore, ma mi sono stufato di questo pseudonimo».

     

    Una volta ha detto di avere un ego psicotico: lo pensa ancora?

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    «Forse. L’ego, cos’è? Già Arthur Rimbaud, un bel po’ di tempo di tempo fa, ci raccontava che è qualcosa di molto complesso. Franco Battiato ricordava che da bambino aveva rifiutato di svolgere il tema assegnato e si era scelto un altro titolo: io chi sono? L’ego è un palloncino gonfio di elio che serve a farlo andare in alto e che poi esplode. Ecco, l’ego è un pallone gonfiato».

     

    È vero che è un appassionato di oroscopi?

    «Gli oroscopi? L’esoterismo, piuttosto. Che si avvicina agli studi sull’alchimia. E l’alchimia alla chimica. Come il profumo. Ho seguito dei corsi e ho scritto un libro sull’argomento (All’inizio era il profumo, Skira 2016, n.d.r.). Mia madre sarebbe stata una profumiera, se non fosse rimasta incinta da giovane. La nostra era una famiglia povera, con un’edicola a Viggiù».

     

    Dunque ha imparato a fare i profumi?

    «Sì, negli ultimi anni. È una procedura complessa. Si avvicina a quella dell’alchimia, che è considerata un’antenata ingenua della chimica, che invece è giudicata sacra. Ma la radice delle due parole è la stessa e significa trasformazione. Anche il profumo parte da un’idea e le dà una materialità».

     

    jovanotti con aldo nove jovanotti con aldo nove

    Per esempio?

    Estrae un flacone con un’etichetta apparentemente artigianale e la scritta «Terroni»: «Qui l’idea è di comprendere attraverso l’olfatto una sintesi del Sud» continua serio. «In fondo è un procedimento prossimo alla poesia: invece delle parole si utilizzano le essenze. È diverso il mezzo che le porta al cervello: il naso. L’olfatto è un senso trascurato, invece è molto importante nel rapporto con il mondo. Ignorarlo può essere pericoloso. Un odore cattivo segnala che c’è qualcosa che non va».

     

    Cos’altro sta imparando?

    FRANCO BATTIATO - DI ALDO NOVE FRANCO BATTIATO - DI ALDO NOVE

    «Ho iniziato da poco a suonare la chitarra. Una persona molto cara e geniale vicina a me mi ha proposto di iniziare un corso.

     

    Avendo dedicato quasi tutta la mia vita alla poesia, che è musica e matematica, mi è sembrato che fosse giunto il momento di rapportarmi alla musica. Sto studiando le scale musicali. Sa, vorrei diventare una rockstar internazionale, ma non posso. Mi toglierebbero la legge Bacchelli», stavolta ironizza di sicuro, ma sempre senza sorridere.

     

    Ha appena pubblicato i suoi sonetti sulla rivista «Poesia», fondata e diretta da Nicola Crocetti, e in settembre nella collana bianca di Einaudi. Crocetti è stato forse il suo editore più devoto da quando Milo De Angelis ha scoperto il suo talento, vero?

    ALDO NOVE LA VITA OSCENA ALDO NOVE LA VITA OSCENA

    «Se non fossimo entrambi eterosessuali, chiederei a Crocetti di sposarmi. Conoscerlo è uno dei doni che mi ha fatto la vita» si lascia andare finalmente a una breve risata. «Il titolo, Sonetti del giorno di quarzo, è un’espressione tratta dalla poesia di Milo De Angelis. Ma prima di lui, mi aveva già scoperto Silvio Raffo, il più grande traduttore italiano di Emily Dickinson. E poi io ho fatto in modo di farmi conoscere da Nanni Balestrini, capofila del Gruppo 63 e il più importante dei miei maestri».

     

    E lei chi ha scoperto?

    «Ho scoperto parecchi autori, ora in auge. Più donne che uomini, devo dire. Capita che arrivino testi che meritino di essere presi in considerazione ed è bello promuoverli».

     

    Scrittura, musica, mare: che cosa le manca?

    «La vita è la costante mancanza di qualcosa. È tale proprio in quanto manca qualcosa. Nel 1966, un anno prima di nascere, non mi mancava nulla, no? E verrà un momento in cui non mi mancherà più nulla. Ma è la mancanza che ci porta a stare qui».

     

    Quindici anni fa lei ha scritto «Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese»: un testo profetico per le generazioni di oggi.

    aldo nove ph dino ignani 1 aldo nove ph dino ignani 1

    «Con una caporedattrice di “Liberazione”, ai tempi in cui lavoravo per quel giornale, ci eravamo accorti che era in corso una mutazione, che stava scomparendo un mondo, salvo per qualche privilegiato. Quello è stato il primo libro sul precariato, quando ancora non si teorizzava la flessibilità come una nuova forma di lavoro. Certo, per chi è ricco di famiglia il passaggio alla flessibilità non è tragico. Ma come ha scritto Mark Fisher nel Realismo capitalista: l’umanità finirà, il capitalismo no».

     

    Non è troppo pessimista?

    «Che vuol dire essere ottimista?»

     

    Coltivare un po’ di speranza, magari?

    pasolini pasolini

    «Nella sua ultima intervista a Enzo Biagi, Pier Paolo Pasolini disse: la parola speranza è completamente cancellata dal mio vocabolario. Non avere speranze è il modo migliore per non restare delusi: è una forma di saggezza, come sosteneva Schopenhauer. Oggi non so se potrebbe esistere un Pasolini. Avrebbe forse un blog, censurato in continuazione».

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