Estratto dell’articolo di Claudio Tito per “la Repubblica”
MARIO DRAGHI URSULA VON DER LEYEN - RAPPORTO COMPETITIVITA UE
Innovazione, transizione ecologica ed energetica e Difesa. Sono questi i tre settori su cui l’Ue deve puntare per affrontare e vincere la sfida della competitività e della globalizzazione. Mario Draghi non ha dubbi e presentando il suo Rapporto indica le chiavi per consentire all’Europa di tornare a crescere […]
“Quello che non possiamo fare – avverte - è non andare avanti” perché “questa è una sfida esistenziale”. Nella consapevolezza che servono miliardi di investimento almeno il 5 per cento del Pil annuo. Misure che fanno pensare – senza che Draghi lo dica esplicitamente - alla necessità di ricorrere ad altre forme di debito pubblico comune.
COPERTINA Rapporto sulla competitività DI MARIO DRAGHI
La premessa è sempre la stessa: l’Unione da oltre venti anni non cresce e il prezzo lo hanno pagato le famiglie. Un esempio: il reddito disponibile è cresciuto negli Usa di più del doppio rispetto al Vecchio Continente. Eppure “il rallentamento della crescita è stato visto come un inconveniente, non come una calamità” perché “gli esportatori europei sono riusciti a conquistare quote di mercato nelle parti del mondo in più rapida crescita, in particolare in Asia”.
La disoccupazione è calata dal 2010 e questo ha offerto la sensazione di benessere associata alla protezione militare offerta dagli States che “ha liberato i bilanci della difesa da spendere in altre priorità”. Ma quel “paradigma sta svanendo”: la concorrenza globale è aumentata, l’energia – a causa della Russia – costa di più, il cambiamento tecnologico ha aumentato il divario con gli Usa: “Solo quattro delle 50 principali aziende tecnologiche del mondo sono europee”. In più il calo demografico non supporta la crescita come in passato. Entro il 2040 ci saranno almeno 2 milioni di lavoratori in meno.
Servono il doppio degli investimenti del Piano Marshall
MARIO DRAGHI URSULA VON DER LEYEN - RAPPORTO COMPETITIVITA UE
Tutto questo reclama investimenti, tanti miliardi: “Per digitalizzare e decarbonizzare l'economia e aumentare la nostra capacità di difesa, la quota di investimenti in Europa dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali del PIL”. Per fare un confronto: il Piano Marshall tra il 1948 e il 1951 ammontava a circa l'1-2% del PIL annuo. Nel dettaglio, “il fabbisogno finanziario necessario all'Ue per raggiungere i suoi obiettivi è enorme" e per raggiungere gli obiettivi indicati nel rapporto "sono necessari almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui, secondo le ultime stime della Commissione, pari al 4,4-4,7% del Pil dell'Ue nel 2023".
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“Se l'Europa non può diventare più produttiva – avverte l’ex presidente della Bce -, saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, allo stesso tempo, un leader nelle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni. Questa è una sfida esistenziale”.
Secondo Draghi, i valori fondamentali dell'Europa restano “la prosperità, l'equità, la libertà, la pace e la democrazia in un ambiente sostenibile” e se non sarà più in grado di fornirle ai suoi cittadini – o dovrà scambiare gli uni contro gli altri – avrà perso la sua ragione d'essere”. […]
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Le tre aree per rilanciare l’Europa
Quindi in primo luogo l’innovazione. Va colmato il divario con Usa e Cina. L’Europa ha una industria “statica”: “Non esiste una società dell'UE con una capitalizzazione di mercato superiore a 100 miliardi di euro che sia stata creata da zero negli ultimi cinquant'anni, mentre tutte e sei le società statunitensi con una valutazione superiore a 1 trilione di euro sono state create in questo periodo”.
La conseguenza è che le nostre imprese investono in meno in innovazione perché specializzate in tecnologie mature. In più, avvisa l’ex premier italiano, “le imprese innovative che vogliono espandersi in Europa sono ostacolate in ogni fase da normative incoerenti e restrittive” e così molti imprenditori preferiscono investire in America: […]
Il secondo settore d'azione è il clima con un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività. “Se gli ambiziosi obiettivi climatici dell'Europa saranno accompagnati da un piano coerente per raggiungerli – è la sua posizione - , la decarbonizzazione sarà un'opportunità per l'Europa. Ma se non riusciamo a coordinare le nostre politiche, c'è il rischio che la decarbonizzazione possa andare contro la competitività e la crescita”.
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L’energia elettrica costa ancora il triplo che negli Usa. E poiché l’energia non pulita ci sarà ancora per diversi anni “senza un piano per trasferire i benefici della decarbonizzazione agli utenti finali, i prezzi dell'energia continueranno a pesare sulla crescita”. A suo giudizio, dunque, “l'Ue si trova di fronte a un possibile compromesso. Aumentare la dipendenza dalla Cina può offrire la strada più economica ed efficiente per raggiungere i nostri obiettivi di decarbonizzazione. Ma la concorrenza sponsorizzata dallo Stato cinese rappresenta anche una minaccia per le nostre industrie produttive di tecnologie pulite e automobilistiche”. […]
Il terzo settore d'azione è la Difesa. La sicurezza è un presupposto imprescindibile in uno scenario globale che sta diventando sempre più minaccioso. Per questo non si può dipendere da Pechino ad esempio per la fornitura di chip la cui produzione è per quasi il 90 per cento in Asia.
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L’America ha imboccato una strada di indipendenza da questo punto di vista e l’Europa ha bisogno di una vera e propria "politica economica estera", sostiene Draghi: “Solo insieme possiamo creare la leva di mercato necessaria per fare tutto questo”. Ma per questo serve la pace.
L’Ue è il secondo investitore in Difesa ma separatamente e questo non si riflette concretamente nelle nostre capacità. “L'industria della difesa – spiega Draghi - è troppo frammentata, il che ostacola la sua capacità di produrre su larga scala, e soffre di una mancanza di standardizzazione e interoperabilità delle attrezzature, che indebolisce la capacità dell'Europa di agire come potenza coesa. Ad esempio, dodici diversi tipi di carri armati sono prodotti in Europa, mentre gli Stati Uniti ne producono solo uno”.
Serve dunque concentrare gli sforzi, impegnare risorse comuni. Il 78 per cento della spesa militare è stata appaltata ad aziende non europee. “Allo stesso modo – rileva - non collaboriamo abbastanza all'innovazione, anche se gli investimenti pubblici in tecnologie innovative richiedono grandi capitali e le ricadute per tutti sono sostanziali”. Ossia, l’Ue non si coordina. Ed è troppo lenta nelle decisioni: 19 mesi di media per approvare una legge. […]
Il “finanziamento comune”
mario draghi charles michel ursula von der leyen
Poi però c’è la domanda delle domande: come finanziare tutto questo? Intanto progredire con il mercato unico dei capitali. E poi serve un “finanziamento comune”. Draghi non lo dice ma il riferimento a nuove forme di debito comune e formule simili al Recovery Fund appaiono implicite.
“Questa relazione – sintetizza Draghi - arriva in un momento difficile per il nostro continente. Dovremmo abbandonare l'illusione che solo la procrastinazione possa preservare il consenso. In realtà, la procrastinazione ha solo prodotto una crescita più lenta, e certamente non ha ottenuto più consenso. Siamo arrivati al punto in cui, senza interventi, dovremo compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà”.
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Quindi, urgono riforme e bisogna aumentare la “cooperazione”. “Mai in passato – è il suo ultimo monito - le dimensioni dei nostri paesi sono apparse così piccole e inadeguate rispetto alle dimensioni delle sfide. Ed è da molto tempo che l'autoconservazione non è più una preoccupazione comune. Le ragioni di una risposta unitaria non sono mai state così convincenti – e nella nostra unità troveremo la forza per riformare”.
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