IGNAZIO VISCO MATTEO RENZI
1.BANKITALIA:RENZI,PD NON PUÒ DIFENDERE ATTUALE ASSETTO POTERE
(ANSA) - "È tutto così sorprendente, così incredibile, così assurdo. Con una parola sola direi così surreale. Giro l'Italia e non c'è stata una persona che mi abbia chiesto chiarimenti sulla mozione, ma dei problemi reali della gente. E invece si guarda sempre al dito e mai alla luna". così Matteo Renzi all'Avvenire di domani (anticipazione dell'intervista sul sito del quotidiano).
"Il vero problema - sottolinea - sono le crisi bancarie, sono le decine di miliardi messi dallo Stato per salvarle. Io e il Pd non possiamo difendere l'attuale assetto di potere, non possiamo stare dalla parte dei presunti salotti buoni della finanza. Noi stiamo con i risparmiatori". "Ho letto bugie, ricostruzioni parziali. Ho visto tutti concentrati sulla mozione quasi fosse una spy-story. Voglio essere chiaro: la difesa a oltranza di Visco non sta nei miei desideri segreti". "È una fase bella della mia vita politica, una fase di grande libertà rispetto alle rigidità del Palazzo. Torno tra la gente e sono felice".
2.VISCO PRIMA SCELTA DEL PREMIER CON LA SPONDA DI DRAGHI E PESA L'INCROCIO COL ROSATELLUM
Goffredo De Marchis per ''la Repubblica''
Se Gentiloni, d' intesa con il Quirinale, punta alla conferma di Ignazio Visco alla guida di Bankitalia ha tutti gli strumenti in mano per farlo. Due in particolare. La sponda del presidente della Bce Mario Draghi che spinge per evitare scossoni mentre in Europa si decide l' unione bancaria. E la fiducia sulla legge elettorale che la prossima settimana arriva al Senato. Stavolta, se vuole, il premier può evitare di metterla.
renzi visco
Gli argomenti per seguire la strada di una discussione libera non mancano. Non ci sono 120 voti segreti in agguato (la regola di Palazzo Madama è diversa da quella di Montecitorio), la maggioranza non è in bilico visto che a Pd e Ap si aggiungono Forza Italia e Lega, alleati dell' accordo, l' idea che almeno un ramo del Parlamento non sia vincolato alla decisione del governo avrebbe l' effetto di un salutare ritorno d' immagine per il Rosatellum.
La seconda soprattutto ha tutto il sapore di una sfida a Matteo Renzi, che quella legge vuole a tutti i costi e in tempi brevissimi. Ma confermare Visco contiene in sè gli elementi della sfida, dopo tutto quello che il segretario dem ha detto in questi giorni. «Sul tavolo di Gentiloni, dal momento in cui è rientrato da Bruxelles, c' è l' opzione del no alla fiducia. E certo non si può dire che in questa partita non sia in una posizione di forza totale», spiega un ministro. Il premier deve solo decidere come usare o dosare la forza.
VISCO E DRAGHI 05
Per il momento lancia segnali di pace al Pd renziano. Non vuole che scorra il sangue intorno a un vicenda delicata come la nomina del governatore di Via Nazionale. Il week end è decisivo per capire come muoversi. Gli uomini di Renzi sperano che sia il governatore a fare un passo indietro: «Lunedì sapremo », dicono sibillini. Da Palazzo Koch l' ipotesi viene esclusa senza mezzi termini: «Il mandato scade il 31 ottobre, niente dimissioni ». Venerdì 27 c' è il consiglio dei ministri durante il quale verrà fuori la soluzione finale con un nome. Se le posizioni del Pd e di Banca d' Italia non cambiano ricadrà tutto sulle spalle di Gentiloni e di Sergio Mattarella. Escludendo aiutini esterni.
Il premier vuole gestire lo sprint verso venerdì in maniera ordinata, a differenza della mozione di "sfiducia" del Pd. «Come in maniera ordinata si preparava a immaginare anche una successione al vertice della Banca centrale», dicono a Palazzo Chigi. Il premier vuole ricucire anche perchè il Partito democratico è indispensabile per condurre in porto la legge di bilancio.
VISCO DRAGHI
Ma non si vede quali pericoli possano arrivare da Largo del Nazareno, visto che la manovra è senza tasse, senza aumenti dell' Iva e molto soft, proprio come aveva imposto il segretario dem. Occcore dunque costruire una scelta. I renziani sono convinti che Visco stia ancora riflettendo sul passo indietro. E che Draghi eviterà le barricate se il successore fosse scelto all' interno del direttorio di Bankitalia.
«Non Fabio Panetta però perchè non andrà mai bene a Carlo Messina», spiega un fedelissimo del leader Pd. Messina è l' amministratore delegato di Intesa San Paolo, il principale istituto italiano che inevitabilmente ha un certo peso nella vicenda. Più facile che la nomina ricada su Salvatore Rossi, direttore generale di Via Nazionale.
renzi mattarella gentiloni
Ma a Palazzo Chigi lavorano sullo stesso binario? Il colloquio di ieri con Jean Claude Juncker incentrato sul dossier banche e sui bilanci degli istituti italiani che vanno difesi da una diversa valutazione dei crediti deteriorati lascia capire che va scongiurato un terremoto a Via Nazionale. Cosa succede se dal tavolo della trattativa si toglie il banchiere centrale che l' ha seguita finora? È possibile una reazione dei rigoristi tedeschi: ma come dite che Banca d' Italia non vigila? Allora meglio che vigiliamo noi. Un argomento che non regge secondo i renziani. «Le casse rurali tedesche, secondo gli stress test, non sono messe meglio delle nostre banche», ripetono.
mattarella e gentiloni
L' argomento "stabilità in Europa" dunque non regge. Resta l' arma della fiducia sul Rosatellum che è sicuramente esplosiva e fuori dai confini del caso Bankitalia. Ma il dibattito sulla legge elettorale precede, nei primi giorni della prossima settimana, la decisione finale. E la mossa rottamatrice di Renzi è destinatata ad aizzare le polemiche anche sulla riforma del sistema di voto. Martedì parlerà a Palazzo Madama Giorgio Napolitano e sta già scrivendo il suo intervento. Contro l' uso della fiducia e su alcuni punti della legge.
Discorso che il presidente accompagnerà con alcuni emendamenti.
3.VIA LA SQUADRA, TORNA IL ROTTAMATORE E ORA I BIG PD LO ACCUSANO: "UN ERRORE"
Annalisa Cuzzocrea per ''La Repubblica''
ignazio visco mario draghi
Amareggiato Gentiloni, sorpresi Martina e Orlando, silenti Minniti e Delrio, irritato Dario Franceschini, sconcertati i padri nobili Romano Prodi, Walter Veltroni, Giorgio Napolitano. È come se Matteo Renzi, che ammira Pep Guardiola, ma non sembra avere analoghe doti da allenatore, avesse deciso di far giocare i suoi calciatori con i sassi negli scarpini. La squadra dem - quella su cui il segretario aveva impostato il nuovo corso, sostituendo con il "noi" l' uomo solo al comando - è spiazzata dalla mossa su Bankitalia. Ma soprattutto, teme che sia solo l' inizio di una campagna elettorale giocata sopra le righe e senza riguardo per nessuno. Neanche per gli esponenti di un governo di cui il Pd è azionista di assoluta maggioranza.
Martedì 17 ottobre, mentre il capogruppo Ettore Rosato metteva a punto la mozione su via Nazionale che ha rischiato di portare il Pd alla rottura con il premier, Renzi partiva sul suo treno ripetendo il mantra degli ultimi due mesi: «Oggi c' è una squadra, l' altra volta, al camper, c' era un gruppettino di ragazzi». Era dalla forza del gruppo, che il segretario pd aveva deciso di ripartire per combattere l'"antipatia" ammessa perfino nel libro Avanti (gliene parla il figlio a proposito della sconfitta al referendum).
Sembrava ancora in corso la sua fase zen, quella in cui si metteva al telefono per sanare i contrasti tra Delrio e Minniti. E in cui paragonava il Pd a una «grande force tranquille», citando senza ironia François Mitterrand. Preistoria.
MINNITI DELRIO
In soli tre giorni, il rottamatore e il suo "Giglio magico" hanno ripreso il sopravvento. Mettendo Gentiloni e il capo dello Stato - ragiona con gli amici Walter Veltroni - in una condizione impossibile: se dopo la manifesta sfiducia del Pd il governatore Ignazio Visco verrà riconfermato, il governo potrà essere accusato di un' ingiustizia. Se non lo sarà, ammetterà davanti al mondo che c' è davvero stato un grave difetto di vigilanza.
«Il problema è la credibilità del nostro Paese e del nostro sistema finanziario all' estero», ragiona con i suoi il ministro della Giustizia Andrea Orlando. «Si può criticare tutti - diceva ieri - ma bisogna evitare uno scontro tra istituzioni. Perché un conto è la dichiarazione di un esponente politico sull' operato di chi ricopre una carica, un altro un atto parlamentare contro un' istituzione che, tra l' altro, è di garanzia. La differenza tra noi e i populisti dovrebbe essere proprio in una diversa cultura delle istituzioni ».
ANDREA ORLANDO E LA CORRENTE DEMS
E parlano anche i silenzi, come quello del capo del Viminale Marco Minniti. «Il punto - spiega chi ne ha parlato con lui - è che Renzi ha voluto posizionare il partito dalla parte dei risparmiatori, dopo che siamo stati ricacciati per anni tra gli "amici dei banchieri".
E ha fatto bene. Ha sbagliato completamente il metodo, però ». I modi non sono piaciuti neanche al ministro dell' Agricoltura Maurizio Martina, che del Pd è vicesegretario.
«È un' iniziativa del partito», aveva risposto martedì Maria Elena Boschi a un attonito Gentiloni. Martina, però, non ne sapeva nulla. E non è un caso se oggi - pur rifiutandosi di dare un giudizio su quanto accaduto - porti la discussione su un altro piano citando le parole del procuratore di Milano Francesco Greco sulla «necessità del nostro Paese di avere nuovi strumenti per la vigilanza a tutela dei risparmiatori».
MAURIZIO MARTINA
A battere pacche sulle spalle del leader restano in pochi. Sempre Boschi e poi Francesco Bonifazi, Luca Lotti, Matteo Richetti («Ricevo un sacco di telefonate di imprenditori contenti, abbiamo fatto bene», ha detto al segretario il suo responsabile comunicazione).
Di certo, ed è stato chiaro fin dal primo istante, non è contento il Quirinale. Tra gli uomini del Pd più vicini al Colle c' è il ministro della Cultura Dario Franceschini, che tace da giorni.
Mentre parla per la sua area Luigi Zanda: «L' unità del partito è un valore assoluto - dice il capogruppo dem al Senato - e credo che sia possibile tenere insieme la difesa di un' istituzione indipendente come la Banca d' Italia e naturalmente la difesa del risparmio.
Per raggiungere questi tre obiettivi, però, sono necessarie una straordinaria prudenza e una straordinaria attenzione». Doti di cui per ora, Matteo Renzi, sembra voler fare a meno.