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    LA ROMA DEI GIUSTI - “BELLAS ARTES” È UNA BELLA SERIE DEDICATA AI PROBLEMI COMICO-AVVENTUROSI, DA NOI ORMAI SONO ANCHE POLITICI, LEGATI A UN GRANDE MUSEO E AL SUO DIRETTORE: ARTISTI MITOMANI, MINISTRI DELLA CULTURA PREPOTENTI, ECO-MILITANTI CHE IMBRATTANO LE STATUE, E OPERE IMBARAZZANTI - "LA MAQUINA" PARLA DI UN CAMPIONE DI PUGILATO PRONTO AD APPENDERE I GUANTONI AL MURO E IL SUO SVITATISSIMO SUPERLIFTATO MANAGER, CHE TRATTA CON LA MALAVITA IL SUO FUTURO SUL RING. ASSOLUTAMENTE DA VEDERE… - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

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    Film o serie? C’è poco da stupirsi che le serie nei festival, sia a Venezia che a Roma, stiano dilagando prendendo il posto dei film e che lo streaming, le piattaforme, stiano diventando di fatto, soprattutto con la crisi della Rai massacrata dalla politica e dai diktat meloniani e l’arroccamento dei talk di informazione politica su La7, la nuova tv generalista. Cioè la tv che apri, alla ricerca più di serie che di film, per ristabilire quella che si chiamava un tempo la tv-caminetto.

     

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    Rispetto a quel che vediamo in sala, come ben sappiamo, dove troviamo solo horror, unico genere rimasto, qualche grande cartoon americano e i film da festival, le serie possono spaziare su qualsiasi tema. Non sono insomma monotematiche come quello che troviamo in sala. Il problema rispetto ai festival magari è che quello che troviamo come novità esce più o meno contemporaneamente anche sulle piattaforme.

     

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    Sono state presentate così due belle serie dirette e ideate da autori di talento sudamericani, “Bellas Artes” di Mariano Cohn e Gaston Duprat e “La Maquina” di Gabriel Ripstein. La prima la vedremo presto su Disney+, ma la seconda, targata Hulu in America, è già, integralmente, su Disney+. Diciamo che non è un problema. Anche perché sono due buone serie. E, del resto, anche “Avetrana” la vedremo il 25 ottobre in tv. Ma tutto questo toglie un bel po’ di magia e di originalità a un festival.

     

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    “Bellas Artes”, presentato ieri con successo alla Festa del Cinema di Roma nella sala cinema del Maxxi, il museo d’arte contemporanea romana ancora diretto da Alessandro Giuli, diventato nel frattempo Ministro della Cultura, è la nuova serie ideata dalla coppia di registi argentini Mariano Cohn e Gaston Duprat, qui aiutati alla sceneggiatura da Andrés Duprat e alla regia da Martin Bustos, dedicata proprio ai problemi comico-avventurosi, da noi ormai sono anche politici, legati a un grande museo e al suo direttore.

     

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    Artisti mitomani, ministri della cultura prepotenti, eco-militanti che imbrattano le statue di artisti considerati porconi, e opere imbarazzanti, come un grande cetaceo morto spiaggiato nelle sale del museo che puzza da morire e verrà rimandato davanti a casa dell’artista. Protagonista, nel ruolo del Giuli di turno, direttore del museo di un grande museo spagnolo di arte contemporanea, è Antonio Dumas, dotto professore, intellettuale, interpretato dall’argentino Oscar Martinez, che riuscirà a battere, all’inizio della prima puntata, due candidate più giovani e più agguerrite, una femminista militante l’altra nera, ma che se la vedrà con una serie di problematiche di ogni tipo.

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    Ci sono pure i problemi della famiglia, con un nipotino da prendere a scuola e Angela Molina come vecchia fiamma che torna dal Perù. Rispetto alle due precedenti serie firmate da Cohn e Duprat in Argentina, “Nada” e “El encargado”, che trovate su Disney+, e che sono due deliziose borghesi sui mali della città, la prima legata a un burbero critico culinario e la seconda a un non così limpido portinaio manutentore di un ricco palazzo di Buenos Aires, qua si gioca in trasferta, in Spagna, a Malaga, credo. E il meccanismo si banalizza un po’.

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    Anche perché il mondo dell’arte contemporanea, che si presta alla commedia, per carità, da una parte è già stata letto sotto questa chiave da “The Square” di Ruben Ostlund. Da un’altra non può essere banalizzato più che tanto. E qui, mi sembra che qualche eccesso anti-woke venga fuori. Siamo sempre su un livello di commedia alta, da pubblico scelto, insomma, ma mi pare un filo meno riuscita rispetto alle altre due. Anche se il professore di Oscar Martinez che diventa una celebrità nel suo condominio e si ritrova il vicino che lo tormenta coi quadretti o l’artista superpippa che si fa sponsorizzare dal Ministro della Cultura in realtà fa molto ridere.

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    E’ del tutto diversa la ricca serie messicana “La Maquina”, diretta da Gabriel Ripstein, ideata da Feranda Coppel (“Regina del sud”) e Marco Ramirez (“Orange Is the New Black”), ma scritta da una decine di sceneggiatori, che vede protagonisti due vecchi amici come Gael Garcia Bernal, nel ruolo dell’argentino Esteban “La Maquina” Osuna, campione di pugilato pronto a appendere i guantoni al muro e Diego Luna come Andy, il suo svitatissimo superliftato manager, che non solo lo ha costruito, ma che tratta con la malavita il suo futuro sul ring.

     

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    E la cosa porterà non pochi problemi. Assieme ai due protagonisti, che avevano iniziato assieme sul set del trasgressivo “Y tu mamá también” di Alfonso Cuaron, e che è un piacere vedere sullo schermo, troviamo star come Eiza Gonzales, l’ex moglie di Esteban, Jorge Pegurorria come Sixto, Lucia Mendez come la mamma di Andy. Girata benissimo, la serie punta parecchio in alto, forte anche della popolarità dei suoi due protagonisti in Sudamerica. Assolutamente da vedere.

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