Marco Giusti per Dagospia
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Confesso che “Passing”, opera prima, scritta e diretta da Rebecca Hall, già sofisticata attrice per Woody Allen e non solo, in luce fin dal Sundance un anno fa, presentato oggi a Roma e in uscita su Netflix il 10 novembre, mi ha molto colpito. Tratto dal romanzo omonimo del 1929 della scrittrice Nella Larsen (1891-1964), padre delle indie olandese, madre bianca, ne riprende l’ambientazione nella cosiddetta Harlem Renaissance di New York, tra primo jazz, scrittori, Josephine Baker, e i personaggi.
una promessa rebecca hall
Soprattutto mette in scena, come da titolo, il passing, cioè il farsi passare per bianchi di molti neri non così scuri del tempo in un’America ancora pesantemente razzista e segregazionista. Proprio il tema del passing ritroviamo anche nel bellissimo romanzo di Alexandra Lapierre “Belle Greene”, appena uscito per e/o, che è ambientato negli stessi anni e che descrive la stessa situazione.
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Ovviamente farsi passare per bianchi, allora era un rischio punibile con vent’anni di galera o il linciaggio, e chi lo faceva doveva quindi vivere nella bugia per tutta la vita, come fece George Herriman, geniale autore delle strisce di “Krazy Kat”, stando attento a non avere figli, che potevano essere neri. Nella attuale rilettura hollywoodiana dell’identità di genere e di razza, il passing ha un ruolo preciso. Come lo hanno le ricerche sulle proprie origini.
La stessa Rebecca Hall ha dichiarato di aver girato questo film dopo aver saputo di avere anche lei un nonno materno nero e di non essere quindi così bianca. Tutto il film è costruito sul confronto-scontro fra due donne che giocano in maniera diversa sul colore della pelle, la “non così nera” Irene di Tessa Thompson, sposata con un medico nero, André Holland, e con due figli neri, e la “non così bianca” Clare di Ruth Negga, sposata con un ricco bianco razzista Alexander Skarsaagrd, che la crede bianchissima. Il problema o che Clare non riesce più a vivere bene da bianca e sogna la Harlem scatenata e piena di vita degli anni ’20 e la compagnia di uomini e donne nere, come la sua vecchia amica Irene, attivissima nella Lega per i diritti dei Neri, e il suo bel marito.
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Ma non è che Irene sia poi così forte nel suo sentirsi nera, al punto che nella prima scena la vediamo fingersi bianca sotto il grande cappello bianco e incontrarsi con Clare nella ricca New York bianca. Se il suo passing è frenato dalla famiglia, il passing di Clare è messo in crisi dal suo continuo spostamento verso Harlem alla ricerca della sua più forte identità nera. Una ricerca che toccherà nel profondo Irene e quelli che pensa siano i suoi valori.
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Costruito visivamente in un bianco e nero necessario e perfetto, opera del direttore della fotografia portoghese Edu Grau, che riprende quel che resta del grande cinema nero dei tempi del muto riscoperto recentemente, esaltato dalla musica di Devonté Hynes, già autore di gran parte della musica di “We Are Who We Are” di Luca Guadagnino, “Passing”, grazie alla presenza di due protagoniste meravigliose, già pronte per le nominations, e da una messa in scena che non è mai né banale né descrittiva, punta dritto al grande cinema d’autore e a una complessità, letteraria e cinematografica, che non ci aspettavamo da Rebecca Hall.
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Non capisco perché Venezia se lo sia fatto sfuggire (magari c’erano troppi titoli Netflix…), ma vi consiglio di vederlo, perché mi sembra davvero qualcosa di nuovo. E Tessa Thompson domina la scena come già fece in “Westworld” e “Sylvie’s Love”. Incantevole.
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