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    LA ROMA DEI GIUSTI - L’OPERA PRIMA DI PAOLA CORTELLESI, “C’È ANCORA DOMANI”, SORTA DI COMMEDIA SIMIL-NEO-REALISTA IN BIANCO E NERO, È PERFETTA COME FILM D’APERTURA DEL RINNOVATO "ROME FILM FEST" E COME MANIFESTO DEL NUOVO CORSO IPER-FEMMINILE - UN’OPERA CHE SI SFORZA DI RACCONTARE IN MANIERA POPOLARE E CON TONI DA COMMEDIA LA CONDIZIONE DELLA DONNA NEL DOPOGUERRA IN ITALIA E LA SUA DURA LOTTA PER LIBERARSI DAI TANTI MARITI, PADRI, SUOCERI OPPRESSORI… - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Testaccio Rules. Perfetto come film d’apertura del rinnovato Rome Film Fest, un tempo si chiamava Festival del Cinema di Roma, poi diventò Festa del Cinema di Roma…, e perfetto come manifesto del nuovo corso iper-femminile del Fest/Festival, con tanto di direzione al femminile di Paola Malanga, manifesto dedicato a Anna Magnani, attenzione particolare ai film delle registe come ha notato ieri “The Guardian”, devo dire che è stato accolto con una calda e sincera ovazione dal pubblico dei critici e degli accreditati l’opera prima di Paola Cortellesi, “C’è ancora domani”, sorta di commedia simil-neo-realista ricostruita in un bel bianco e nero e una minuziosa scenografia che sembra tratta di peso da film come “L’onorevole Angelina” di Luigi Zampa.

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     Non cito a caso il film di Zampa, perché era quello che, con un linguaggio già da commedia all’italiana, con la forza di una star come la Magnani, osava toccare il tasto non facile dell’emancipazione femminile in un paese fortemente cattolico, distrutto dalla guerra e massacrato dal fascismo e da un umiliante patriarcato che solo nel 1946 avrebbe permesso di aprire il voto anche alle donne.

     

    Forte, quindi, di una rilettura femminile/femminista dei classici del neorealismo, di una minuziosa ricostruzione visiva del cinema di quel periodo, e di una intelligente e divertente sceneggiatura scritta dalla stessa Cortellesi coi fidatissimi Furio Andreotti e Giulia Calenda, gli stessi del fortunato “Come un gatto in tangenziale”, la Cortellesi si è ritagliata nel film una figura emblematica di donna-schiava dell’universo maschile che non sa quando potrà alzare la testa.

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    Malamente sposata con un Valerio Mastandrea baffuto, puttaniere e violento che la riempie di mazzate per qualsiasi sciocchezza e la obbliga alla cura dell’orrendo vecchio padre tombarolo, Giorgio Colangeli, la sua Delia, deve accudire a tre figli, due maschi che si menano sempre e si riempiono di parolacce, e una femmina, Romana Maggiora Vergano, che è fidanzata con il più ricco rampollo del quartiere, Francesco Centorame, figlio di un barista burino e infame. Delia deve fare qualsiasi lavoro in casa e darsi da fare fuori con lavoretti per contribuire al misero bilancio familiare. E’ il neorealismo, ragazzi.

     

    A differenza della Magnani in “L’onorevole Angelina”, non ha un marito pacioccone romano che abbozza come Nando Bruno, e non si ribella come lei al mondo da subito puntando alla politica. La sua presa di coscienza, tra botte e umiliazioni, è graduale e permette allo spettatore di godere della ricostruzione accurata, oltre che della famiglia di Delia, del mondo del quartiere romano dove lei vive e si muove.

     

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    La costruzione del piccolo mondo di Testaccio, la fruttivendola Marisa di Emanuela Fanelli, la padrona della merceria Paola Tiziana Cruciani, lo stupido del palazzo, Lele Vannoli, la vecchia fiamma Vinicio Marchioni, la consuocera antipatica Alessia Barela, sono in realtà la parte migliore e vincente del film, perché dimostrano, cosa che per la commedia all’italiana era naturale, che senza la presenza di un mondo preciso di caratteristi, non si riesce a costruire un racconto credibile. Questa è la lezione di Zampa, di Amidei, di Emmer e di Blasetti, che firmò due capolavori della commedia come “La fortuna di essere donna” e “Peccato che sia una canaglia”.

     

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    Frutto di un gran lavoro di ritaglio e di riletture, “C’è ancora domani” magari esagera nelle troppe apertura musicali, sia del periodo sia “moderne” (addirittura Dalla), e forse qualche lungaggine ce l’ha, come ha, nelle scene di interni, un eccesso di limpidezza da perfetto studio del 2023 nel riprendere i dialoghi tra i personaggi, ma alla fine sono peccati veniali in un’opera che si sforza di raccontare in maniera popolare e con toni da commedia la condizione della donna nel dopoguerra in Italia e la sua dura lotta per liberarsi dai tanti mariti, padri, suoceri oppressori. Penso, inoltre, che il film abbia tutte le carte in regola per poter funzionare bene in sala, visto che, malgrado il tema, è divertente, è scritto benissimo e gli attori, a cominciare dalla Cortellesi e dalla Fanelli sono tutti bravissimi.  

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