Marco Giusti per Dagospia
DJANGO LA SERIE
Festa del Cinema di Roma. Quarto giorno. Tempo di western. Intanto arrivano le prime due puntate della serie western “Django”, diretta da Francesca Comencini, e da David Evans, prodotto da Cattleya sul modello di “Gomorra”, scritto infatti da due sceneggiatori della serie napoletana, Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, fotografato da Valerio Azzali e Francesco Di Giacomo, musica dei Mokadelic.
Che dire? Intanto il cappello del Django di Matthias Schoenarts, anche se è molto simile a quello del Django ufficiale di Franco Nero, non funziona. Forse perché lui è troppo alto e ha i capelli eccessivamente lunghi, forse perché il cappello è troppo ciancicato.
I tre Sergio, Leone-Corbucci-Sollioma, non avrebbero sbagliato il cappello del protagonista. Belli i set, sia quello della cittadina tutta fango e legno degli schiavi liberati sotto il controllo di John Ellis, cioè il bravo attore inglese Nicholas Pinnock (visto in “Marcella” e “Criminal”), sia il villaggio western di Easdale, dove si svolge la prima grande sparatoria del film. Funziona benissimo.
DJANGO LA SERIE 3
Favolosa la cattiva della serie, la crudele e squinternata Elizabeth di Noomi Rapace, che prende il posto del padrone razzista di Eduardo Fajardo. Elizabeth, chiamata anche solo “La signora” come Miuccia Prada, si veste di nero dopo essersi truccata solo gli occhi, piena di pistole e coltelli per uccidere i peccatori che si dedicano al sesso mercenario o per sparare ai neri che si sposano con le donne bianche. Si veste però da Mercedes McCambridge in “Johnny Guitar” per le impiccagioni rapide dei suoi schiavi che ritiene spie. Ma la notte non riesce a dormire per i desideri impuri che la tormentano e si punisce con un bagno nell’acqua fredda.
Interessante il capovolgimento dal maschile al femminile della saga di Django. La bara che portava Franco Nero nel film di Sergio Corbucci, scritto dai senesi Franco Rossetti e Piero Vivarelli, qui torna all’inizio trascinata nel fango da una ragazza dai capelli rossi.
DJANGO LA SERIE 3
La vera protagonista delle prime due puntate della serie, più che il reduce dalla guerra civile Django di Matthias Schoenarts, visibilmente a pezzi, è sua figlia Sarah, interpretata dall’attrice tedesca Lisa Vicari (“Luna”, “Dark”), con una gamba che non funziona troppo bene, amata sia dal John Ellis di Nicolas Pinnock che da uno dei suoi figli. Ci basta? Nelle prime due puntate abbiamo visto un paio di grandi scene, il massacro operato dalla nerovestita Elizabeth e dai suoi uomini nel postribolo, una bella sparatoria, una bella gara di pugni tra Django e un gigante austriaco, ma, ovviamente, non possiamo ritrovare l’aria malsana e le atmosfere del vecchio Django. Qua siamo più dalle parti della ricca coproduzione europea tutta girata in inglese per un pubblico che non pretende fedeltà filologica al vecchio film. Anzi.
Al posto della musica di Bacalov, che nemmeno Tarantino si permetteva di non citare, c’è la musica simil-Gomorra dei Mokadelic. Funziona. Ma il copione di Fasoli e Ravagli mi sembra pieno di incongruenze. Perché Elizabeth si traveste di giorno per sparare a John Ellis quando tutti sanno che è lei a sparare? Che fine fa la mano ferita di Django e ricucita malamente se dopo poche ore già riesce a sparare? Ricordate le mani di Django tormentate da Eduardo Fajardo? Sembra che i due sceneggiatori non sappiano affatto cosa sia e come vada fatto un western all’italiana. Diciamo che non è quello che vogliono fare.
DJANGO LA SERIE 3
Ma costruendolo con gli schiavi liberati si scontrano con il Tarantino di “Django Enchained”, cosa che non vogliono assolutamente fare (ci credo…) e quindi trovano la chiave del femminile. Mentre Quentin risolveva la cattiva sudista con un colpo sparato da Django di lato senza degnarla neanche di uno sguardo. Bang! Matthias Schoenarts funziona solo senza cappello, più Keoma che Django, insomma. Ma Noomi Rapace pazza e cattiva può fare il film, pardon… la serie. E Francesca Comencini o chi per lei distribuisce in giro buone battute. “Torna a Beethoven”. Si vede che si diverte, aveva ben diretto le puntate al femminile (e non solo) di “Gomorra”, ma il cinema che ha sempre fatto è stato la cosa più lontana del mondo dall’adorato (da me) spaghetti western. Aspettiamo le altre puntate per dirne di più. Ma cambiassero il cappello a Django. O lo sistemassero meglio. E “Colt” di Stefano Sollima quando lo vedremo?