Antonio D’Orrico per il “Corriere della Sera”
fabrizio roncone
Tutti conoscerete i pezzi sui politici italiani che Fabrizio Roncone pubblica sul «Corriere». Sono interviste e ritratti in cui le parole sono chiodi e il malcapitato di turno viene allegramente (per chi le scrive e per chi le legge) crocifisso. Ho sempre avvertito una certa malinconia in quegli articoli.
Direte che è fatale essere pervasi dalla malinconia di fronte a certi spettacoli della politica italiana (e non solo italiana), ma la malinconia a cui mi riferisco è un'altra e riguarda l'autore di quegli articoli. Leggendo le brillanti e crudeli performance, mi chiedo ogni volta com' è l'anima di Roncone, chi c'è veramente dietro le sue esibizioni di bravura e di stile. Ora finalmente l'ho scoperto leggendo Non farmi male , il suo noir che esce oggi per Marsilio.
RONCONE COVER 2
L'anima di Fabrizio Roncone si chiama Marco Paraldi, un ex giornalista che ha cambiato mestiere per aprire la Vineria Mezzolitro a Campo de' Fiori, al numero civico 22/C di via dei Banchi Vecchi, quasi all'angolo con vicolo della Lucertola. Paraldi era un cronista di serie A, lavorava a «Paese Sera», «quotidiano glorioso, storia del giornalismo» (cosa sarebbe stata «Repubblica» se non ci fossero stati prima «Paese Sera» e «Il Giorno»? Probabilmente non ci sarebbe stata).
Nei suoi anni ruggenti Paraldi girava per Capalbio in Triumph (verde bottiglia, la più bella) e a chi gli rinfacciava che non era una macchina da giornalisti comunisti rispondeva: «Che Guevara aveva un Rolex al polso. Io posso girare in spider». Qui ci starebbe una digressione sulle fuoriserie dei grandi giornalisti di una volta, dalla Ferrari di Luca Goldoni alla Porsche di Giuliano Zincone, ma rimaniamo nel romanzo. Paraldi è uscito dal giornalismo con una scena madre.
Ha mollato un ceffone in presenza di testimoni a un politico infingardo. Proprio come fa Alberto Sordi, in un soprassalto di dignità, nell'indimenticabile sequenza finale di Una vita difficile di Dino Risi (un film più bello della Dolce vita?).
capalbio
Ora Paraldi fa parte a sé stesso nella sua vineria (prodotti enogastronomici di altissima gamma, clientela di gran classe: a un certo punto tra gli avventori riconosciamo anche Toni Servillo, che Paraldi considera, come me, «il più grande attore italiano») e intrattiene flirt da una botta e via con donne bellissime e spregiudicate (a volte più donne assieme). Sul piano sentimentale, la sua vita è molto più complessa di come potrebbe apparire.
C'è di mezzo una aristocratica romana fuori dal cliché delle aristocratiche romane. Paraldi soffre di un blocco affettivo e va dallo psicoanalista, ma ogni volta sul lettino fa scena muta e se ne va dallo studio incapace di aprirsi, di raccontarsi, di spiccicare una parola. Come diceva Dino Risi, la vita è difficile. A complicare ulteriormente le cose c'è Don Winslow. Il grande scrittore americano non è un cliente della Vineria di Campo de' Fiori, ma è un inquilino fisso e assai scomodo nell'esistenza di Paraldi.
DON WINSLOW
L'ex giornalista sogna, infatti, di scrivere un giallo come quelli del Don (che più di un nome è ormai una onorificenza come si usa nel Meridione). Un giallo che abbia un incipit all'altezza di un celebre racconto dello scrittore americano: «Nessuno sa come ha fatto lo scimpanzé a prendere la pistola». È un modello altissimo, forse irraggiungibile, non a caso Stephen King considera quell'attacco il migliore attacco di sempre (più di quelli di García Márquez, più di quelli di Franz Kafka). E così, oltre al blocco affettivo, Paraldi ha il blocco dello scrittore (che le due cose siano collegate?).
Ogni mattina apre il computer e prova a buttare giù qualcosa. Ha anche in mente una trama. Questa: «Un serial killer che uccide solo maestre elementari, un preside pedofilo, una poliziotta che indaga». L'assassino è il preside oppure è la poliziotta? Non lo sapremo mai, le aspirazioni letterarie di Paraldi finiscono regolarmente affogate nei gin tonic dei quali è il più grande consumatore della Vineria Mezzolitro.
renatino de pedis
L'identikit del protagonista di Non farmi male sarebbe gravemente incompleto se non aggiungessimo che cucina una pasta e patate alla napoletana divina (in guardia Cannavacciuolo!), momento clou delle sue serate in casa con i vecchi amici, un rito che si conclude con la visione, come se fossero in diretta, di vecchie partite della Roma (quando vinceva), tipo la semifinale di Coppa dei Campioni 1984 con il Dundee United. Come ci ha dimostrato una volta per tutte Piero Trellini con La partita , la storia di Italia-Brasile 1982, certe partite di calcio sono romanzi immortali. Ultimi due tocchi al ritratto di Paraldi.
renatino de pedis
È sorrentiniano spinto, nel senso che considera il maestro di È stata la mano di Dio «il più bravo regista che abbiamo. Sul pianeta, non solo in Italia». Ed è schiavoniano, nel senso dell'eroe dell'altro maestro Antonio Manzini, altrettanto spinto. Sulla lavagnetta dietro il bancone della vineria, Paraldi ha scritto il suo catalogo delle incazzature (l'equivalente della classifica delle rotture stilata dal vicequestore più amato dagli italiani). Al Punto 10, per fare un esempio, si legge: «QUELLI CHE QUANDO TORNANO DALLE VACANZE PRETENDONO DI RACCONTARTI QUANTO SONO STATI BENE».
Paraldi vive in una Roma (l'altra grande protagonista di Non farmi male ) dove si muovono ancora lontani eredi (presunti) della Banda della Magliana. I loro nomi, anzi soprannomi, sono Murena, Sorcanera, Mozzicone: «Una batteria di rapinatori all'antica. Uno che decide, uno che spara - se serve, ma non deve servire -, uno che guida». Ed è uno di questi a millantare di essere stato l'ultimo pupillo di Renatino De Pedis, il Dandi della Banda della Magliana.
PASOLINI 9
È una Roma, quella di Paraldi (& di Roncone), che a me ricorda per certi versi quella pasoliniana (il Pasolini della Ricotta , soprattutto) e quella di Vincenzo Cerami (il Cerami del Borghese piccolo piccolo e di Fattacci ). Ma è soprattutto la Roma del Balzac contemporaneo della Capitale, quella della commedia umana (?) di Dagospia con dj che si chiamano Pippo Sultano, onorevoli dai basettoni alla Cavour, «un mischione di milf scosciate, labbroni turgidi», il parrucchiere delle deputate e delle attrici che balla con un personal trainer richiestissimo in zona Parioli e che vanta «un passato da gigolò gay».
E per finire in bellezza: un paio di conduttori Rai, che quelli, si sa, non mancano mai. È una fauna (come mi è già capitato di dire in occasione di un altro romanzo di Roncone: Peccati immortali , quello scritto a quattro mani con Aldo Cazzullo), il cui primo antropologo, precedente a Roberto D'Agostino e al suo Paparazzo (va scritto con la P maiuscola) Umberto Pizzi, fu Ennio Flaiano in una mitica poesia di più di mezzo secolo fa.
cerami benigni
Quella che comincia con un incipit che non sfigura a confronto di quello di Winslow: «C'erimo io, Jacovacci e Liliana,/ Manuccia, Brigitte e Flora,/ la Pittata, la Siciliana,/ Fellini, la Ficona e la Mora». E si chiude, al contrario di come fece Eliot, non con un piagnisteo ma con un bang: «C'era Arbasino, Cagnara, il Bandito,/ Moravia, Pasolini e Culosfranto./ Verso la fine entrorno senza invito/ er magnaccia co' 'n frocio, e fu lo schianto».).
roberto d'agostino
Paraldi (& anche Roncone?) è un habitué della demimondanità capalbiese, oltre che di quella romana. Frequenta party total white dove si aggirano: «manager in pensione, scrittori di libri dimenticabili, il temuto direttore di un temuto quotidiano, un regista, un notaio, qualche morta di fama, disoccupati di lusso».
Ma cosa ci fa Paraldi, a parte scolarsi gin tonic, in queste location? Indaga. Torna al suo vecchio mestiere per scoprire che fine ha fatto Noemi, una bellissima ragazza scomparsa misteriosamente e che non può non far venire in mente a un cronista come lui la spiaggia di Capocotta e il caso Wilma Montesi (il delitto in cui l'Italia perse l'innocenza, appena ritrovata, del dopoguerra).
L'inchiesta privata di Paraldi lo porterà in altre location esclusive: il Campo Nomadi di Centocelle; il Mandrione dei Casamonica; le case popolari del Prenestino dove vive Giovannona, la ragazza con un corpo da balena spiaggiata e «un incantevole viso ovale» che ricorda la Madonna del Cardellino di Raffaello...
paolo sorrentino
È ufficiale: Roncone ha un'anima. Come Flaubert di Madame Bovary anche lui potrà dire: «Marco Paraldi c'est moi!». Io invece dico che Non farmi male è un noir bellissimo e struggente. E pazienza se non comincia chiedendosi come ha fatto lo scimpanzé a prendere la pistola.
la terrazza
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