Mario Ajello per "il Messaggero"
giuseppe conte enrico letta
La grande ritirata di Conte e l'ira di gran parte del Pd: «Ci aveva fatto credere che voleva e invece ha fatto il bluff». Quello di dirsi disponibile alla candidatura in rossogiallo nel collegio più importante della Capitale, alle suppletive del 16 gennaio, ma invece niente. «Ringrazio Letta ma ho molto da fare nei 5 stelle», è la scappatoia di Conte. Il quale si è impaurito per Calenda. Ha capito che molti elettori di centrodestra, pur di dare una legnata a lui e a Letta, avrebbero votato per il fondatore di Azione (e già alcuni esponenti come il senatore forzista Francesco Giro si erano schierati: «Farò volantinaggio per Calenda»).
letta calenda
E soprattutto il no di Conte all'offerta dem si deve, ragionano alcuni proprio nel suo movimento, a una recondita speranza che al di là delle dichiarazioni ufficiali l'ex premier ancora coltiverebbe: quella di andare al voto anticipato. E dunque: perché candidarsi per un posto fittizio da deputato che potrebbe durare appena pochi mesi, quando invece potrebbero esserci, almeno nei suoi desiderata, elezioni vere da legislatura piena tra poco e allora sì che Conte si candiderà?
giuseppe conte enrico letta giancarlo giorgetti
Di fatto, la retromarcia dell'avvocato è questa: «In vista del voto per l'elezione del capo dello Stato, non credo che la mia presenza in Parlamento sia necessaria. Anche se non eletto, questo non mi impedirà di partecipare da protagonista all'elezione». Spera il leader M5S che questa rinuncia (temporanea) al Parlamento gli possa fruttare nel giudizio dei cittadini la palma d'oro di quello che rinuncia al Palazzo e non è un poltronista come tutti gli altri. Il fatto vero è che un bel pezzo del Pd era scettico sulla scelta di affidare a Conte il collegio dem per eccellenza. Mentre anche in M5S tanti dall'altra sera non facevano che ripetere: «Diamo l'impressione di quelli che si sono accontentati di un'elemosina da parte del Pd».
GIUSEPPE CONTE
Oltretutto nei timori di Conte c'è anche quello di prendere pochi voti (Gentiloni ebbe il 62 per cento). Intanto il Pd, nel pieno della sua figuraccia, è anche arrabbiato con Calenda perché ha tagliato la strada alla candidatura Conte. C'è' chi minaccia: «A furia di strappare, finiremo di negargli la possibilità di allearsi con noi per le politiche e lui da solo, senza il proporzionale, va a sbattere».
Intanto Calenda era «prontissimo» alla sfida contro Conte ma ormai non ci sarà. Ma se il Pd per quel collegio sceglie un altro 5 stelle, «io lo sfiderò candidandomi», assicura il leader di Azione. Sennò, ha già due nomi possibili da mettere in campo (tra i quali non c'è l'ex sindacalista Marco Bentivogli).
carlo calenda
Calenda parla così: «Io tre settimane fa ho chiamato Letta e, visto che a Roma centro ho preso il 32 per cento, gli ho detto non facciamo una cosa all'ultimo che poi ognuno va solo. Ha detto sì ma poi non l'ho più sentito. Poi sono usciti alcuni nomi, l'ho richiamato e gli ho detto parliamo ma poi di nuovo non l'ho più sentito fino a che è uscito Conte. Allora, prima di combinare un altro macello facendosi dire di no da Conte, possiamo sentirci 5 minuti? Magari può essere utile per tutto il campo del centrosinistra».
letta conte
Che il Pd sia incorso in una figuraccia non lo dice solo Calenda ma lo pensano un po' tutti, anche dentro i dem. In più Calenda vuole arrivare a una scelta condivisa con il Nazareno. E non vedersi imporre, per esempio, il nome dell'ex vicesindaco di Veltroni Gasbarra («Enrico per storia personale e politica è espressione di quel territorio e anche per questo vincente», dice la deputata Patrizia Prestipino, di Base riformista) che è quello in pole position per il collegio romano secondo questo schema: eletto alla Camera il 16 gennaio e poi nel 2023 candidato alla Regione come successore di Zingaretti. Big e correnti d'accordo su Gasbarra, anche se Letta - tramontato Conte - crede ancora all'opzione donna: o la Furlan o la D'Elia.
letta calenda
2 - IL PD SI RITROVA SPIAZZATO: GIUSEPPE NON CAPISCI CHE CI METTI IN DIFFICOLTÀ?
Maria Teresa Meli per il "Corriere della Sera"
L'altroieri sera aveva sussurrato un sì ai diversi ambasciatori del Pd. Poi Conte è stato assalito dai dubbi. I suoi e quelli dei 5 Stelle cui sembrava poco dignitoso diventare «ostaggi del Pd». Quindi sono sopraggiunti anche i timori. L'ex premier ha capito che l'annuncio di una candidatura contrapposta di Calenda non era certo da prendere sottogamba. Il leader di Azione in quel collegio ha preso più del Pd. La partita si sarebbe fatta ad altissimo rischio, tanto più che il centrodestra avrebbe potuto optare per una forma di desistenza mascherata.
virginia raggi giuseppe conte
L'eventualità di perdere era concreta. E, comunque, anche una vittoria di stretta misura non avrebbe rappresentato un buon viatico né per l'alleanza con il Pd né per la leadership, già non saldissima, di Conte. Il quale, peraltro, non era sicuro nemmeno degli stessi voti grillini a Roma. Sicuramente non di quelli di Virginia Raggi. Perciò quel sì sussurrato a mezza bocca è diventato un no, grazie.
letta conte
Per ore Letta, Franceschini e altri maggiorenti dem hanno insistito per far cambiare idea a Conte: «Così ci metti in difficoltà, non lo capisci?», è stata la frase che l'ex premier si è sentito rivolgere più volte nei suoi colloqui di ieri. Ovvio, perché quel no, dopo che domenica era stato il Pd a far filtrare trionfalmente la notizia, mette nei guai il Nazareno e rimanda all'esterno l'immagine di un partito in difficoltà. Ma Letta non dispera: «La mia bussola, il mio dovere, è costruire il centrosinistra e allargare il campo al punto di proporre a un leader che è fuori dal Parlamento di entrare grazie anche al radicamento del Pd in quel collegio».
VIRGINIA RAGGI GIUSEPPE CONTE
Però a causa di questa operazione andata male il potere contrattuale dei vertici dem nelle trattative per il Quirinale potrebbe affievolirsi. Ma per amor di cronaca va sottolineato che non tutto il Pd era d'accordo con l'operazione. Innanzitutto perché a molti è apparsa come un'accelerazione di Letta verso le elezioni anticipate. «Così - si ragionava tra i dem - Enrico tenta di blindare l'alleanza con i 5 Stelle per andare al voto a primavera».
letta calenda
Ma vi erano anche altre obiezioni. Base riformista, la corrente di Guerini e Lotti, riteneva un azzardo mandare avanti un'operazione «così delicata a pochi giorni dalle elezioni del Colle». Molti dubbi, dentro Base riformista, pure sull'opportunità di andare in questo modo alla rottura con Calenda. Anche la componente di Matteo Orfini era contraria. Indubbiamente adesso la partita per il Pd si complica su due fronti. Quello della costruzione dell'alleanza con il M5S, di sicuro. Ma nell'immediato si profilano problemi in vista anche per il Quirinale.
giuseppe conte
I dem hanno infatti avuto la conferma che giocare di sponda con l'alleato grillino è tutt' altro che facile: fare affidamento sui 5 Stelle può rivelarsi un rischio. Non solo, tentando questa operazione della candidatura di Conte, il Pd ha, di fatto, provocato un rafforzamento dell'area di centro riformista che è scesa compatta in campo contro l'ex premier e che si ripromette di fare altrettanto quando si apriranno i giochi per il Colle. Ora sia Calenda che Renzi, che pure non si amano, gongolano. «Che figura il Pd che bacia la pantofola ai 5 Stelle e si fa anche dire di no», scherza il primo. «Il problema è che i dem non sono cattivi, sono incapaci», affondano i renziani.