Andrea Bassi per "Il Messaggero"
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L’ultimo tentativo, in extremis, lo ha fatto Federico Freni. Il sottosegretario all’Economia ha preso carta e penna e ha scritto al presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga. La sintesi del messaggio è semplice e diretta: «per favore fermatevi».
Un appello a “congelare” le norme regionali sui cosiddetti «distanziometri» che nei prossimi mesi, dopo anni di rinvii, entreranno in vigore con effetti pesanti per le aziende del settore dei giochi e per i conti dello Stato. Le prime due saranno il Trentino Alto Adige e il Lazio. Poi toccherà alla Calabria. La questione è vecchia, annosa. La legge regionale del Lazio risale addirittura al 2013, quasi un decennio fa.
BOMBA AD OROLOGERIA
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Ma come una bomba ad orologeria scoppierà solo il 28 agosto prossimo, quando le norme entreranno in vigore con effetti considerati «devastanti». Dal 29 agosto nessun tabacchino, nessuna sala scommesse, nessun bar che ha al suo interno una slot machine potrà stare a meno di 500 metri da una scuola, da un centro giovanile, da un centro per anziani, da un ospedale o da una chiesa.
E come si fa, per esempio, in una città come Roma che solo di chiese ne ha quasi mille? Semplice, non si può fare. Qualche giorno fa i concessionari pubblici dei giochi hanno preso carta e penna e hanno scritto una lettera a Stefano Saracchi, il direttore dei giochi dell’Agenzia delle Accise, delle Dogane e dei Monopoli. Il loro dante causa in pratica. Il quadro delineato è questo: la legge regionale del Lazio butterà fuori dal mercato legale l’85% dei punti di vendita generalisti (tabacchi e bar) e il 91% di quelli specializzati (sale scommesse e sale slot).
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A Roma è anche peggio. Secondo un studio di Eurispes, i punti scommesse potrebbero essere insediati solo sullo 0,7 (zero virgola sette) per cento del territorio. Detto al contrario, significa che sul restante 99,3 per cento non sarebbe possibile mantenere tabacchi, bar e sale con macchinette al loro interno. Con quali impatti?
Pesantissimi sui conti di 4.650 punti vendita su 5.368 totali, col rischio di una perdita di occupazione di 12.400 posti (5.100 nei punti generalisti e 7.300 in quelli specializzati). E con un ammanco per lo Stato di 900 milioni di gettito all’anno. «Le awp e le videolotteries», dice al Messaggero Giorgio Pastorino, presidente del Sindacato Totoricevitori Sportivi, lo storico sindacato dei tabaccai, «valgono tra il 20 e il 25 per cento del fatturato. Capiamo la posizione degli Enti locali, siamo anche disponibili a un compromesso, ma senza quel fatturato le nostre aziende, molte a conduzione familiare, rischiano di dover tagliare il personale».
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E di tabacchini solo a Roma ce sono tremila. Poco cambierebbe riducendo le distanze dai luoghi sensibili. Anche se da 500 si passasse a 200 metri, l’espulsione riguarderebbe quasi la metà dei punti. L’altra domanda è: ma cosa succede se le macchinette legali vengono espulse dal mercato? L’esperienza dice che dove il gioco lecito sparisce, lo spazio viene quasi immediatamente occupato dall’illegale.
«Le singole regioni», ha spiegato il direttore dei giochi Saracchi due giorni fa in un convegno organizzato dall’associazione Astro insieme alla Cgia di Mestre, «hanno una podestà legislativa e Adm non può sostituirsi a loro. Possiamo, però», ha aggiunto, «far comprendere gli effetti di queste decisioni; una norma che sembra tutelare l’aspetto sanitario potrebbe portare all’espulsione del gioco legale e quindi all’aumento dell’illegalità.
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All’Agenzia», ha proseguito Saracchi, «interessa dire la verità, ossia che la chiusura del gioco porta all’esplosione dell’illegalità». Più legale, insomma, significa meno illegale. E significa più controlli. Secondo i dati di Astro e Cgia di Mestre, le sale legali hanno più del 30% di probabilità di essere sottoposte a una verifica. Significa che ogni tre anni tutte vengono controllate.
Ma come si fanno a coniugare le esigenze di ordine pubblico, sanitarie, di gettito erariale, di tenuta delle imprese, di contrasto all’illegalità? E qui torniamo a Freni. Il sottosegretario ha pronto da tempo un articolato progetto di riordino del settore, il cui scopo è proprio quello di tenere insieme tutto.
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IL PROVVEDIMENTO
La delega prevede «norme trasparenti e univoche su tutto il territorio nazionale». Un modo per evitare che ad Aosta si giochi in un modo, a Roma in un altro e a Napoli in un altro ancora. Tutto da concepire, ovviamente, insieme alle Regioni. Senza questo riordino lo Stato non è in grado di fare le gare pubbliche per assegnare le concessioni.
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Quella per le sale scommesse viene prorogata ormai da otto anni. Quella per le Awp, le vecchie slot machine, anche lei in prorogatio, scadrà il prossimo anno. Senza la certezza di poter aprire le sale nelle città o collocare le macchinette, nessun concessionario parteciperà mai alle gare, l’unico modo trasparente di assegnare le concessioni. I giochi sono insomma, diventati quello che negli anni ‘90 erano le banche secondo la definizione di Giuliano Amato: una foresta pietrificata. Fino ad oggi nessuno è ancora riuscito nell’incantesimo di rianimarla.
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