Fabrizio Roncone per corriere.it
Palazzo Chigi, ufficio staff della premier, martedì sera.
meloni la russa
«Avverti subito Giorgia».
«Che succede?».
«La Russa».
«Che ha fatto, stavolta?».
«Ha pubblicato un post su Instagram. Leggi».
«Santo Cielo… ok, chiamo Giorgia».
La liturgia istituzionale prevede, per il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, un riserbo, un distacco dalle beghe della vita politica quotidiana, e da certi spinosi anniversari.
«Me ne frego della liturgia! La verità è che, quando esprimo le mie idee, rosicano — dice adesso più sarcastico che preoccupato, Ignazio La Russa, la caratteristica voce ruvida, un aperitivo prima di andare a pranzo —. Ripeto: se avessero voluto uno solo per dirigere il traffico dell’aula di Palazzo Madama, avrebbero potuto eleggere un semaforo. Io non rinuncio, e non rinuncerò mai, al mio pensiero».
(Flash-back: via della Scrofa, sede di Fratelli d’Italia, il partito che aveva appena stravinto le elezioni. Per la prima volta, una donna — Giorgia Meloni — stava per diventare premier; e non solo: una donna di destra. Ore confuse, nervose, di dubbi e anche allegria, con un diffuso senso di rivalsa, con scosse di battente eccitazione, l’odore denso del potere impregnava le trattative in corso per stabilire l’elenco dei nuovi ministri.
la russa vignetta ellekappa
Poi però dal portone usciva lui, La Russa, già eletto presidente del Senato. E rassicurava, blandiva mettendoci tutto il suo strepitoso mestiere, parlando da fondatore del partito, da dirigente ancora in carica, e allora giù chiacchiere spicciole davanti ai microfoni, e spiegando intrighi, spicchi di retroscena, graffiando con le sue battute saliva poi sull’auto blu e i cronisti, basiti, restavano lì, sul marciapiede, a interrogarsi: ma ha capito che, dopo Mattarella, c’è lui?).
Ora però torniamo al compleanno del Msi: 26 dicembre 1946. Ridotte post-fasciste in festa. La prima ad uscire sui social è Isabella Rauti, sottosegretaria alla Difesa: didascalia («Onore ai fondatori e ai militanti missini») a corredo dell’album di famiglia, foto con la fiamma, comizi con il padre Pino — gran capo di Ordine nuovo, movimento extraparlamentare di estrema destra, una tragica scia nera negli anni Settanta.
«A quel punto, ho deciso di intervenire anche io» (non so se avete capito: ma La Russa mantiene il punto e, perciò, tra un po’ ci parleremo meglio). Ecco allora il suo post: un vecchio manifesto missino e un ricordo del padre Antonino — già segretario politico del partito nazionale fascista a Paternò (Catania) — «che fu tra i fondatori del Msi in Sicilia e che scelse, per tutta la vita, la via della partecipazione democratica…».
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Durissima la reazione di Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche, e di Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica romana: «Quando si ricoprono ruoli istituzionali il nostalgismo assume, contemporaneamente, contorni gravi e ridicoli».
Dettaglio (gigantesco): appena nove giorni fa, al museo ebraico, Meloni si era commossa durante la cerimonia dell’accensione delle luci dell’Hanukkah; le sue lacrime, parlando dell’«ignominia delle leggi razziali» e abbracciando proprio Ruth Dureghello.
Presidente La Russa, ha sentito la premier?
«No. E, comunque, non mi è giunta alcuna sua critica».
Non teme, con quel suo post, di aver minato un percorso di riconciliazione storica?
«Rispetto le sensibilità della comunità ebraica, ma li invito a documentarsi bene. Anche perché il Msi è sempre stato schierato a favore di Israele, mentre pezzi di sinistra, spesso, tifavano per i palestinesi».
Antonino La Russa
Le ricordo che Giorgio Almirante, il 5 maggio del 1942, sulla rivista «La difesa della razza», scrisse: «Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti».
«Però poi Almirante riconobbe l’errore. E fondò un partito che ha eletto capi di Stato, sostenuto la democrazia…».
Lei, di quel post, non è pentito.
«Io rispetto le leggi, i valori costituzionali, in aula sono imparziale e super partes…».
Con il rispetto che si deve alla sua carica, presidente, tanto al di sopra delle parti, ecco, non sembra.
«Ho le mie idee. Non le rinnego. E ho il diritto di celebrare la figura di mio padre, con orgoglio e senso di appartenenza ad un partito dove, a lungo, ho militato anche io. Dov’è il problema?».
Celebrerà la festa della Liberazione, il 25 aprile?
«Me lo chieda il 23 aprile. Non devo rassicurare nessuno. Certo non andrò a infilarmi in qualche corteo per beccarmi fischi e uova marce. Le ricordo però che, da ministro della Difesa, come suggeriva Luciano Violante, ho già omaggiato i partigiani morti e i morti che, credendo in un’altra ideologia, stavano dall’altra parte».
Sul web, in queste ore, ha ripreso a girare un video del 2018 in cui La Russa mostra il suo appartamento: con busti di Mussolini, immagini di gerarchi, e poi la sua foto, in bianco e nero, giovane, barbuto, di quando teneva comizi a Milano (il regista Marco Bellocchio ne scelse uno e, nel 1972, ci confezionò la scena iniziale del suo celebre film: «Sbatti il mostro in prima pagina»).
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