Attilio Barbieri per “Libero quotidiano”
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Un italiano su due, se vuole curarsi, è costretto a mettere mano al portafogli e pagarsi medicinali, visite, esami di laboratorio, perfino ricoveri. E non si tratta soltanto di ricchi, con il conto a sei zeri. Dei 35 milioni di italiani che hanno pagato, circa due terzi hanno un reddito basso o medio, sono affetti da malattie croniche. O addirittura non sono autosufficienti, dunque nella impossibilità di guadagnare.
Il conto di questo «autofinanziamento» è presto fatto: si tratta di 39,5 miliardi dei quali appena 5 coperti da strumenti sanitari integrativi, a cominciare dalle polizze volontarie. I rimanenti 34,5 miliardi, euro più euro meno, escono direttamente dai portafogli di quanti sono costretti a pagarsi le prestazioni sanitarie. Il dato emerge da uno studio realizzato dalla Aprom (Associazione per il progresso del Mezzogiorno) e da Rbm Assicurazione Salute e presentato nel corso di un convegno dedicato al tema.
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E le prospettive non sono incoraggianti. Secondo la Ragioneria generale dello Stato, il costo complessivo della sanità italiana è destinato a crescere dai 20 ai 30 miliardi di euro entro il 2025. Soldi che si aggiungeranno ai 149,5 miliardi di costo contabilizzati nel 2016.
INVECCHIATI
Nell' equazione che ha spinto la metà degli italiani a pagare per stare meglio (o non peggiorare, dipende dai malanni che li affliggono) c' è poi un' incognita destinata a giocare un ruolo crescente. L' invecchiamento della popolazione che provoca la cronicizzazione delle malattie e l' incremento del tasso di dipendenza dai farmaci. Campiamo di più, ma dipendiamo in misura crescente dalle medicine che ci fanno stare meglio. Molte delle quali, per di più, costano parecchio. Ecco perché l' orizzonte resta cupo.
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Secondo l' Istat che lo scorso anno ha presentato uno studio sui conti della sanità italiana, nel 2016 la spesa sanitaria per abitante in Italia è stata pari a 2.404 euro. Ma il dato statistico grezzo racconta soltanto una parte della realtà.
DOPPIO ESBORSO
Una fetta di italiani, oltre a sborsare di tasca propria i soldi per curarsi, già finanzia il Servizio sanitario nazionale. Non tutti, però. Dal calcolo vanno esclusi i 20 milioni di persone che a vario titolo non fanno la dichiarazione dei redditi e altri 10 milioni che dichiarano un reddito inferiore ai 7.500 euro e quindi non versano Irpef. Dunque sui 30 milioni restanti si scarica un onere quasi doppio rispetto ai 2.404 euro censiti dall' Istat.
Per contro le famiglie a reddito basso o medio basso, costrette a pagare le prestazioni, sono prive spesso di coperture sanitarie integrative. E il peso si scarica per intero sul loro bilancio familiare.
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TEMPI LUNGHI
Paradossalmente, poi, a fronte di un costo crescente, le prestazioni rese dal Servizio sanitario nazionale sono in sostanziale peggioramento. Secondo uno studio presentato la scorsa settimana dal Crea Sanità, un think tank che da anni studia questi fenomeni, i tempi di attesa per una visita specialistica sono aumentati di 27 giorni in 3 anni e ora raggiungono anche i 3 mesi.
Stessa musica per gli esami, con tempi di attesa che nelle strutture pubbliche vanno da 22 giorni per la radiografia a una mano a 96 per una colonscopia. Le medesime prestazioni effettuate nel privato hanno tempi infinitamente inferiori: 3 giorni la prima e 10 la seconda. Un fenomeno diffuso oramai in tutta la Penisola, visto che le migrazioni sanitarie dal Sud al Nord hanno saturato anche gli ospedali del Settentrione. A spingere gli italiani verso le strutture private contribuisce pure un altro fenomeno che affonda le radici nella componente pubblica: l' aumento dei ticket da pagare per ottenere la prestazione sanitaria.
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POCA DIFFERENZA
In molti casi la distanza fra la fattura della struttura privata e il ticket ospedaliero, ad esempio per le visite specialistiche, è limitata. Poche decine di euro. A fronte però di tempi d' attesa infinitamente inferiori. Purtroppo, come sottolinea il direttore di Rbm Assicurazione Salute, Marco Vecchietti, «la mancata diffusione della sanità integrativa, bloccata da anacronistici vincoli normativi, costringe le persone ad accettare una situazione in cui le possibilità di cura dipendono dal proprio reddito, minando così i principi di universalismo ed uguaglianza sui quali si fonda il Servizio sanitario nazionale».
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