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    LA SCENOGRAFIA È UN’ARTE DEL PASSATO? UNA BARACCONATA? CON LE CONTEMPORANEE MESSE IN SCENA DI “KATA KABANOVA” E “AIDA”, IL FESTIVAL DI SALISBURGO PONE IL PROBLEMA: MEGLIO UN’OPERA “PURA” SENZA ARCHITETTURA DI SCENA O CON MARCHINGEGNI, PARETI MOBILI, COSTUMI E VIDEO? È L’ORA DI MANDARE IN PENSIONE LA TRADIZIONE ITALIANA DI BORROMINI, BIBBIENA, SANQUIRICO, VISCONTI, ZEFFIRELLI E FARE OPERE NELLO STILE GLOBAL-BERLINESE (VESTITI STRACCIONI), OPPURE LASCIARE MANO LIBERA AGLI ARTISTI CONTEMPORANEI COME SHIRIN NESHAT?


     
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    Pierluigi Panza per https://fattoadarte.corriere.it/

     

    kata kabanova 2022 kata kabanova 2022

    La nuova produzione di “Káta Kabanová” di Janácek del regista australiano Barrie Kosky (diretta da Jacob Hruša con i Wiener) è un'ora e 45 minuti senza intervallo di straordinaria intensità che procede verso il climax finale, ovvero il suicidio della protagonista.

     

    Il fondale del Felsenreitschule, il teatro del Festival di Salisburgo dove l'opera è ora in scena, è straordinario in sé: una parete scavata nella roccia. Questo di certo ha agevolato il regista in una scelta ben riuscita, ma che fa riflettere: si può / si deve abolire completamente la scenografia  e la attrezzeria sul palcoscenico (c'è solo un bastone di comando in mano alla Kabanicha) di un'opera lirica?

    PIERLUIGI PANZA PIERLUIGI PANZA

     

    Davanti all’immensa parete di pietra della Felsenreitschule alcune centinaia di comparse fanno da sfondo ai cantanti dando per tutto lo spettacolo le spalle allo spettatore. I loro vestiti trasandati alla berlinese ma colorati e sapientemente illuminati, e il loro modo di raggrupparsi compie un miracolo espressivo che fa da collante per i protagonisti che corrono lungo il palco (la bravissima Corinne Winters è Kata Kabanova).

     

    Negli stessi giorni, stessa ora, sempre al Festival di Salisburgo ma al Grosses Festspielhaus va in scena "Aida" con regia e video dell'artista contemporanea iraniana-newyorkese Shirin Neshat aiutata per la scenografia - un enorme cubo di finto cemento che si apre, chiude e funziona da schermo per le proiezioni - da Christian Schmidt.

     

    shirin neshat shirin neshat

    Qui il metodo è quasi l'opposto: sulla musica di Verdi si innesta una narrazione chiaramente ispirata agli studi del "cattivo maestro" Edward Said (l'oppressione delle donne mediorientali) che si serve di imponenti materiali artistici: architettura di scena, immagini d'arte, video, luminarie, costumi, barbe finte in stile ayatollah Khomeini. Bravi i cantanti (il nostro baritono Luca Salsi è Amonastro) ma quello che va in scena è una architettura politica.

     

    Le due soluzioni sono abbastanza opposte; facile dire che si possono fare l'una e l'altra l'importante è la qualità; ma questo è la solita affermazione relativistica e pilatesca. Verso quale direzione indirizzare l'opera lirica del domani?

     

    Sebbene “Káta Kabanová” mi sia parsa riuscitissima e "Aida" pretestuosamente politicizzata (ma la Neshat stata chiamata per farla così) l'opera lirica privata delle sue strutture sceniche cessa di essere Gesamtkunstwek, ovvero opera d'arte totale che somma musica, canto, danza, immagine, pittura, architettura, recitazione, che è la sua caratteristica precipua e più affascinante.

     

    corinne winters kata kabanova corinne winters kata kabanova

    Per altro, l'opera lirica senza scenografie e attrezzerie diventa uno spettacolo decisamente non di "tradizione" italiana, dove non servono più scenografi, attrezzisti, nemmeno costumisti, ma solo recitazione (sguardi, mani, corse...). Dai fratelli Bibbiena alla famiglia Galliari, passando per Sanquirico, anche Visconti e Zeffirelli e Co. l'architettura di scena è stato un vanto della tradizione artistica italiana: i risultati raggiunti dalle messe in opera senza scenografia devono indurre al suo abbandono?

     

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    Qui si tratta di “Káta Kabanová” di Janàcek, qualcosa di simile anche nei risultati lo si vide per i "Dialoghi della Carmelitane" di Poulenc con regia di Robert Carsen alla Scala, ma dobbiamo per questo auspicare un futuro-senza-scene anche per il melodrammone italiano o il barocco? Se si esalta solo la recitazione, solo il tradursi di ogni nota in un gesto, il lavoro scenografico finirà nel retropalco delle gozzaniane "buone cose di pessimo gusto", quasi un lavoro barocco da avanspettacolo, da vaudeville, baracconata, messa in scena per parvenue mentre i colti "puristi" potranno rifugiarsi in una fruizione quasi sinfonica dell'opera lirica, affinché una scena in movimento, un'architettura, un video non distraggano o facciano perdere la minima quintessenza musicale di un si bemolle. E addio wagneriana Gesamtkunstwek.

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