Francesca Bonazzoli per il “Corriere della Sera – ed. Milano” - Estratti
ANDREI MOLODKIN
Generalmente utilizza sangue, pompe e meccanismi ingegneristici. Ma questa volta l’artista russo Andrei Molodkin, 58 anni, si è procurato una cassaforte svizzera di 32 tonnellate e l’ha riempita con opere d’arte donate da artisti e collezionisti: Picasso, Warhol, Rembrandt, Kounellis, Andres Serrano, Santiago Sierra, Sarah Lucas. Valore stimato intorno ai 40 milioni di dollari.
Al centro della cassaforte trasportata nella cittadina di Cauterets, nel sud ovest della Francia dove Molodkin vive, c’è una pompa pneumatica connessa a due barili contenenti dei liquidi chimici che, se mescolati, innescano una reazione sufficiente a distruggere in due ore il contenuto della cassaforte. L’innesco sarà dato se il fondatore di WikiLeaks, il giornalista e attivista australiano Julian Assange, dovesse morire in carcere.
Detenuto a Londra per aver pubblicato documenti riservati dell’ intelligence americana coperti dal segreto di Stato, Assange è in questi giorni attesa di sapere se l’Inghilterra accetterà di estradarlo negli Stati Uniti dove rischierebbe una condanna fino a 175 anni.
Andrei Molodkin cassaforte
L’azione artistica, tale è per Molodkin, si intitola «Dead Man’s Switch» perché se il timer riattivato ogni 24 ore da una persona che vive vicino ad Assange non dovesse ripartire, segnalando così la morte del giornalista, darebbe avvio al processo di distruzione delle opere.
«Conosco bene Molodkin ed è un uomo molto serio con un bell’umorismo russo», racconta Giampaolo Abbondio, il gallerista milanese che da molti anni vanta la presenza dell’artista nella sua scuderia dove non mancano autori per clienti «forti» come i performer Franko B. e Maria Magdalena Campos-Pons.
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«Questa azione non è un coup de théâtre o un’improvvisazione. Molodkin ci si è impegnato meticolosamente per un anno e mezzo. Progettare il trasferimento dalla Svizzera di questo enorme caveau e raccogliere le opere non sono cose che si fanno per amore della provocazione o solo per far parlare di sé. Lui crede a questa battaglia. Come quando era scoppiata la guerra in Ucraina e aveva realizzato un ritratto di Putin in plexiglass con il sangue donato da soldati ucraini».
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E ci crede anche lo stesso Abbondio che ha messo un’opera a disposizione della causa: il Picasso nella cassaforte è infatti il suo, anche se rimane un segreto se si tratti di un disegno o una tela. «È l’unico che posseggo e conto che torni a casa, come Assange. Ho messo in gioco l’opera più preziosa che posseggo perché sapevo che avrebbe richiamato l’attenzione. Era quello che serviva.
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