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    LA SENTENZA CHOC DI UNA GIUDICE DEL TRIBUNALE DI VARESE CHE HA LIQUIDATO LE VIOLENZE SUBITE DA UNA MAMMA 36ENNE DA PARTE DEL COMPAGNO COME UN “CASO NON DI GRAVITÀ ESTREMA, NON ECCEZIONALE O INEVITABILE” – LA VITTIMA ERA CONSIDERATA DA QUELL’UOMO AL PARI DI UNA SCHIAVA SESSUALE, VENIVA PRESA A CALCI E COSTRETTA A DORMIRE SUL DIVANO SE NON SODDISFACEVA I SUOI DESIDERI SESSUALI. MA PER UNA GIUDICE NON È ABBASTANZA PER…


     
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    Nicola Pinna per “il Messaggero”

     

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    A leggere le due sentenze sembra di ripercorrere vicende totalmente diverse, che tra di loro potrebbero non avere nulla a che fare. Eppure, il caso è lo stesso. Ma da un'aula all'altra di un tribunale persino una storia drammatica come quella di una donna che per anni ha subito violenze fisiche, psicologiche e sessuali può diventare un «caso non di gravità estrema, non eccezionale o inevitabile».

     

    A scriverlo non è il difensore dell'uomo che per quegli episodi è finito in manette, e poi sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio. Quelle parole, che ora innescheranno l'immancabile ondata di sdegno e proteste, è un giudice.

     

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    Anzi, una giudice: una donna con la toga, relatrice della commissione tributaria provinciale. E le sue considerazioni sulla vicenda drammatica che ha coinvolto una trentaseienne di Varese sembrano la perfetta contraddizione, oltre che del buon senso, anche dell'analisi dei fatti riassunta in sei pagine dal Gip del Tribunale di Busto Arsizio, che di quel dramma familiare si era già occupato per imporre una misura cautelare all'uomo accusato delle violenze.

     

    Quel caso «non di gravità estrema», che ha coinvolto anche un bambino piccolo, il giudice per le indagini preliminari lo ripercorre attraverso una serie di episodi specifici: «La donna scrive il giudice era considerata dall'uomo la sua schiava sessuale, era costretta a subire rapporti sessuali anche nei mesi di gravidanza, veniva presa a calci e costretta a dormire sul divano se non soddisfaceva i suoi desideri sessuali».

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    Ci sono anche altri dettagli irripetibili nella ricostruzione fatta dai carabinieri, ma il quadro sembra già sufficiente per capire la disperazione. Dalle minacce si è passati spesso anche ai fatti e tante volte, come sottolineato nell'ordinanza del Gip, la ragazza si è trovata fuori di casa, persino con il bambino piccolo in braccio. Bastava dire no a quell'uomo che le conseguenze scattavano all'istante.

     

    Tutto è andato avanti per anni, fino a quando la giovane mamma ha deciso di affrontare la paura e di chiedere aiuto alle forze dell'ordine. Non è stato facile, ma le indagini hanno fatto il loro corso.

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    Il maresciallo non ha trascurato la denuncia e il caso è finito prima nelle mani del giudice, che ha firmato un'ordinanza di custodia cautelare, e poi sulla scrivania del sindaco per un'ordinanza di trattamento sanitario obbligatorio nei confronti di quel giovane che aveva trasformato una relazione sentimentale gioiosa in un incubo quotidiano. La vicenda, quella umana e penale, è andata avanti fino al 2017, quando l'uomo è finito in una struttura psichiatrica e poi ha deciso di farla finita.

     

    LA VITTIMA

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    Ma per una donna vittima di violenza, che per la legge dovrebbe essere protetta, supportata e difesa in modo speciale, da qualche mese è iniziato una nuova odissea. E in questo caso al groviglio burocratico si aggiunge anche l'umiliazione di quella considerazione scritta nei giorni scorsi nella sentenza firmata dalla Commissione tributaria di Varese.

     

    La frase esatta, riferita alle violenze sessuali, è la seguente: «Non è un caso di gravità estrema, assolutamente fuori da ogni possibile previsione, eccezionale ed inevitabile». Perché era necessaria questa considerazione?

     

    Nella decisione, emessa il 22 febbraio e pubblicata il 6 maggio, i tre giudici si pronunciano su un contenzioso avviato dall'Agenzia delle Entrate che pretende dalla trentaseienne la restituzione delle agevolazioni fiscali ottenute per la prima casa, acquistata con quel compagno poi diventato orco.

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    «La casa è stata rivenduta dopo le terribili vicende che sono state oggetto di uno specifico procedimento penale spiegano gli avvocati Filippo Caruso e Giorgio Prandelli, che difendono la mamma trentaseienne - La legge che vieta la cessione prima dei cinque anni prevede la deroga in caso di fatti gravi e imprevedibili, come ci sembra possa essere una vicenda terribile come una prolungata violenza sessuale e psicologia. Eppure, abbiamo scoperto che per i tre giudici della commissione tributaria di Varese un dramma come quello ben descritto dai carabinieri e dal Gip si possano considerare fatti non di estrema gravità».

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    Sulla pelle di chi quelle violenze le ha patite, le parole messe nero su bianco sulla sentenza fanno ancora più male: «Non solo per il dolore fisico e psicologico che ho affrontato confessa la ragazza Anche perché con la vendita della casa ho potuto ritrovare un po' di autonomia e mantenere il bambino senza l'aiuto di nessuno».

     

    Il caso ora propone anche un altro tema legato alle solite e controverse questioni sui diritti civili e sull'equiparazione delle coppie di fatto a quelle sposate. Perché la deroga al divieto di vendita della casa, per il momento, vale solo per chi ha pronunciato i fatidico sì, anche se l'ordinamento riconosce oramai da qualche anno anche l'esistenza di altre forme di unione civile. Su questo probabilmente si esprimeranno i giudici della Corte costituzionale, o magari interverrà una nuova norma, ma nel frattempo i giudici di Varese hanno messo in discussione un'altra certezza che sembrava assodata, considerando una lunga storia di abusi e soprusi come un «caso non di estrema gravità».

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