Roberta Damiata per ilgiornale.it
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L’orgoglio dell’appartenenza quando mette sul piatto vizi e virtù è qualcosa di raro da trovare al giorno d’oggi. Più spesso è facile scontrarsi con pregiudizi e luoghi comuni piuttosto che difendere ciò che si è stati, anche riconoscendone, a volte amaramente, i lati negativi. Questa magia, mescolata ad una grande nostalgia che si respira già dalle prime pagine, nel libro del giornalista Davide Bartoccini Eravamo Pariolini (Ed.Ventriloco) che ripercorre tramite la sua personale storia, un periodo di crescita in una parte di Roma nota a tutta Italia, quella dei Parioli.
“I pariolini vivono a Roma Nord. Provengono da famiglie borghesi, si vestono tutti seguendo una data moda. Sono tutti pettinati uguali, il sabato vanno a ballare in discoteca, al Gilda, che sta in centro (a Roma). Hanno il motorino “pariolo” e fanno cose “pariole”. I più ricchi hanno la macchinetta, frequentano bar e ristoranti ai Parioli. Investono i loro pomeriggi alla Casina, che sta a Piazzale delle Muse; a Piazza Euclide; vanno al liceo Mameli dei Parioli o al De Merode, dai preti, a Piazza di Spagna, o dalle suore alla Falconieri. E l’estate vanno in vacanza al Circeo, a Sabaudia, a Ponza, a Porto Ercole, a Cortina, tipo te insomma, tipo noi” racconta Davide in un passo del libro.
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Per chi non vive nella Capitale, questo non è solo il posto della Roma Bene definizione che non piace molto all'autore, ma un microcosmo all’interno della città con le sue regole precise, le sue modalità e la sua noia. Nel libro c’è proprio tutto questo, compresa quella noia borghese che all’interno della storia non provoca un senso di irritazione, piuttosto una grande nostalgia per una crescita forse precoce: “Avevi un’intensa, perenne voglia di essere più grande”, e di un desiderio che diventa adulto. Poi però quei traguardi irraggiungibili, entrare a 13 anni nella prime discoteche, diventano a 18 quando si è padroni della città, un mezzo per andare oltre e vincere quella che da gioia si è trasformata in desiderio di qualcosa di più.
I protagonisti del racconto sono proprio quelli che gli altri considerano stereotipi, forse quelle cornici precise che identificano un pariolino doc, e che portano gli altri a ricercarle, per assomigliare almeno negli abiti, allora come ora, ad uno status. Davide, con minuzioso lavoro di memoria, ha saputo ricostruire su cose apparentemente futili come i brand degli abiti indossati, un percorso leggero, simile a quello dei tanti che vivono nel microcosmo dei Parioli, in un’omologazione gioiosa fatta di vestiti, locali alla moda, di pr e luoghi fissi che crescono e mutano come gli anni del protagonista, che si ritrova poi a “smette di crescere, e cominciare ad invecchiare”.
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Ma sono gli anni della goliardia quelli più belli, quelli che in maniera lieve somigliano all’incoscienza dei 16 anni che chiunque ha vissuto. La differenza con gli “altri”? Il grande senso di appartenenza, il sapere di essere in un certo modo e la soddisfazione di esserci nato. Una difesa di ciò che si è, anche quando con mente lucida ci si considera un po’ dei “coglioni” o quando: “Omologati a pensarci oggi, fa sentire quasi scemi. Però allora, a quei tempi, non era male sentirsi parte di qualcosa, di una tribù”.
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Le indimenticabili vacanze a Ponza dove tutta la “Roma Nord” si trasferisce a luglio: “Il primo caffè all’Euclide di Vigna Stelluti poi il Piper il Gilda e le vacanze all’Argentario” tappe fisse percorse con un abbigliamento preciso che ti distingue, sono queste le cose che lo scrittore definisce le “mie e le nostre Colonne di Ercole”. Una cura precisa sull’apparenza, ma anche nella sostanza dei sentimenti provati, delle gioie incontrollabili dell’adolescenza, e la consapevolezza di quando ci si affaccia nella vita adulta. "Diventi prima quello che sognavi, e poi quello che sognavi di non incontrare mai" scrive non a caso. Con la prefazione di Claudio Zuccaro, Eravamo Pariolini, non è solo un romanzo ma quasi una sceneggiatura che piacerebbe moltissimo ai Vanzina, e che come in quei film bellissimi ti fa dire: "Ho anche pianto tanto".
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