Oliviero Beha per “Il Fatto Quotidiano”
SAVIAOLA
Secondo una lettura tra il cinico e il razionale, in un calcio ormai tutto business e niente ludus, le vere partite i giocatori le disputano al momento di negoziare e poi firmare i loro contratti.
Sì, poi c’è il piccolo dettaglio che devono allenarsi e scendere in campo, ma insomma firmato il contratto il più è fatto, per loro e per lo stuolo di procuratori che hanno pesantemente contribuito a rendere il pallone una specie di palla al piede del fortunato galeotto di turno. Si sa, i calciatori sono più star degli attori, almeno in Italia, e quindi il calciomercato chiusosi ieri sera alle 23 è stato un macroscopico match pieno di contraddizioni.
Intanto, personalmente ritengo ridicolo che la finestra negoziale estiva, quella principale, si chiuda dopo che si è giocata la prima partita di campionato. Così che siamo pieni di casi di giocatori che in extremis andranno magari nella squadra affrontata il giorno prima, oppure di “non convocati” perché in odore di cessione finale. Si obietterà che accade anche per altre nazioni, con mercato a date sfalsate rispetto all’inizio dei rispettivi tornei. Vero, ma ormai per come ci siamo ridotti in tutto, pallone compreso, siamo portati a pensare sempre il peggio, perfino che eventuali trattative condizionino l’atteggiamento delle squadre in campo.
CRISTANTE
La seconda contraddizione deriva dal gran numero di movimenti che in mancanza di denari autentici fa pensare alla vecchia storia dei due gatti scambiati per un cane dei “presidenti ricchi scemi” all’epoca della buonanima di Giulio Onesti, un “cognomen” sulla carta e nella realtà assai più impegnativo del suo attuale erede al Coni, Giovanni Malagò, un perfetto ma solo in greco antico. Una ridda di prestiti, con o senza diritti di riscatto, ha smosso un mercato tendenzialmente “miserabile” come mai in passato.
ANTONIO CONTE E CARLO TAVECCHIO
Basti pensare che fino all’anno scorso c’erano stati “colpi” degni della fantasia dei tifosi e di un regime mediatico tonitruante: Higuain, Tevez, Mario Gomez, per fare dei nomi, giocatori appartenenti all’eccellenza internazionale. Quest’anno niente di niente, a questi livelli, e casomai un’accelerata sugli esodi.
Il Torino che vende i dioscuri della stagione passata realizzando montagne di denaro, Immobile in Germania e Cerci in Spagna, o il Milan che cede il pazzoide Balotelli ma anche (“maanchismo” puro) il giovane promettentissimo Cristante, al Benfica, per 6 milioni. E se Balo è apparentemente ormai più una “cover” che un campione, Cristante è il simbolo di giovani talenti venduti solo per far cassa.
Alla faccia delle preoccupazioni tricolori del neo presidente federale, Tavecchio , e del neo Ct, Conte. Il primo, non potendo almeno per ora manomettere le norme comunitarie che fan sì che ogni squadra possa importare falangi di giocatori europei, se la prende con gli extracomunitari (come è noto, è un suo pallino...). Il secondo vorrebbe più italiani in squadra e teorizza la non convocabilità nei confronti di chi non è titolare nel suo club (e Pasqual? L’eccezione che conferma la regola o era distratto durante Roma-Fiorentina?).
GONZALO HIGUAIN
Mi pare che abbiano ragione entrambi, anche se velleitariamente. Ancora circola la battuta sul pullman dell’Inter che andava all’Olimpico nel 2002, quel fatidico e napoleonico 5 maggio, quando perse lo scudetto a Roma contro la Lazio: racconta Di Biagio che non c’era un italiano con cui potesse scambiare due battute. E francamente non è un caso che da sempre una squadra tradizionalmente “feroce” dal punto di vista agonistico come la Juve abbia inteso basarsi su telai italiani.
Rimane importante comunque sul piano temperamentale poter contare sulla stessa lingua e la stessa estrazione starei per dire antropoculturale, se non mi venissero in mente le interviste classiche del dopo-partita. Tra le quali ier l’altro spiccava quella al cinematografaro “Viperetta”, che non va in campo ma è come se ci andasse se appunto un collegamento tv val bene una messa blucerchiata.
CATANIA JUVENTUS TEVEZ
Così ci ritroviamo con un mercato di molti piccoli pezzi, che possono andare a dama in alto e a mezza altezza, come la Roma o il Milan del “Niño” Torres che sarebbe stato un colpo gobbo cinque anni fa, Milan che non vale al momento più della Lazio che ha battuto, ma può fare un buon campionato perché composto logicamente: squadra basata sui contropiedi (o ripartenze), ovvero sulla velocità di un El Shaarawy o di un Menez. Milan e Lazio, poi, senza impegni in Europa, valgono di più al mercato delle previsioni.
Mario Gomez
In extremis la grande incompiuta, la Fiorentina di Montella , ha inseguito la Roma negli acquisti potenziandosi quantitativamente e qualitativamente dove era approssimativa. Un mercato così buzzicone fa ancora più effetto se commisurato a quello europeo, di un Manchester United da ricostruire che porta a casa Di Maria e Falcao, il meglio nei loro ruoli, così come hanno già fatto il Bayern, il Chelsea, il Barcellona e il Real Madrid.
Diciamola tutta, e senza vento: è ovviamente un mercato proporzionato al nostro calcio e al Mondiale brasiliano buttato al vento. Vedremo dagli abbonamenti e dallo share delle video-partite come la prenderanno i tifosi, ai quali è rimasto più o meno solo questo, un pallone da casinò in cui tutti scommettono fiches sui resti degli altri.