Maurizio Fiorino per “la Repubblica”
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Che l'arte, spesso, sia precorritrice dei tempi che corrono, è un'evidenza impossibile da nascondere. La storia di Nona Faustine ne è un esempio lampante. Classe 1977, nata e cresciuta a Brooklyn, professione fotografa. L'amore per l'immagine, in realtà, lo scopre da bambina.
Suo padre era un fotografo dilettante, così come lo zio, ovvero colui che le mise in mano la prima macchina fotografica. Da ragazza si appassiona ai reportage di Time e Life , quindi si innamora di Diane Arbus, Richard Avedon e di Ernst Haas. Si approccia alla fotografia documentarista per poi, pian piano, avvicinarsi a un tipo di lavoro più concettuale finché, come compito di fine anno all'International Center of Photography di New York, dove studia, non le viene l'idea di trattare il tema del razzismo sistematico nel suo Paese.
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«Che il razzismo rappresenti ancora un problema, e pure grosso, negli Stati Uniti, è evidente. Anche dopo aver avuto Obama come presidente, ovvio. Quella del presidente nero che fa la rivoluzione è una storiella che si racconta in giro per sentirsi a posto con la coscienza, ma i neri uccisi dalla polizia sono il chiaro esempio che la realtà è ben diversa» dichiara la fotografa.
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(…) Si è resa conto, facendo le dovute ricerche, che, per far sì che la gente si accorgesse di ciò che aveva intenzione di dire, avrebbe dovuto rompere gli schemi, perciò ha pensato di spogliarsi nei luoghi simbolo del razzismo americano con, addosso, soltanto un paio di scarpe bianche. «Rappresentano il patriarcato bianco dal quale non si può sfuggire» spiega, «ero terrorizzata dall'idea di spogliarmi in pubblico ma la nudità è un segno di protesta verso i modi in cui gli schiavi venivano mostrati e venduti al pubblico. È come se, negli scatti, il mio corpo fosse diventato memoria ».
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Nel corso di questi anni, Faustine si è messa nuda dinanzi la Corte Suprema americana, sulla storica scalinata del tribunale di Chambers Street, nel Giardino Botanico di Brooklyn, nel cuore di Chinatown e finanche a Wall Street, nello scatto, forse, più importante - sicuramente il più emblematico - dell'intero progetto.
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(…) Oggi, dieci anni dopo il primo scatto, il suo lavoro è diventato un libro. Si intitola White Shoes, per l'appunto, e l'ha pubblicato Mack. Dopo un talk d'artista al Brooklyn Museum di febbraio, ad aprile la Galleria Nazionale d'Arte di Washington le dedicherà una retrospettiva e, subito dopo, il suo lavoro si sposterà alla Biennale di Dakar. «In America la schiavitù rappresenta il tessuto, le fondamenta, uno degli elementi costitutivi della nazione. Il nostro successo come potenza economica è dovuto proprio alla schiavitù» spiega Faustine. (…)
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