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    LA SINISTRA STA ROSICANDO PERCHÉ "DON'T LOOK UP" È UN ARMAGEDDON DELLE LORO FALSE CERTEZZE LIBERAL - "LA VERITÀ" GODE PER IL MODO IN CUI IL BEL FILM DI MCKAY SULLA COMETA DEMOLISCE I MITI PROGRESSISTI: "C'È LA REGINA DEL TALK SHOW CATE BLANCHETT CHE SEMBRA LA CARICATURA DI LILLI GRUBER, GLI EROI SILICONVALLICI DEL GLOBALISMO TECNOCRATICO, GLI ESPERTI CHE SUONANO LA MUSICA DEL POTERE COME I VIROLOGI. FINALE CON TUTTI A TAVOLA A PREGARE IL BUON DIO..." - TRAILER


     
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    Giorgio Gandola per “La Verità

     

    Attendere la fine del mondo con una cena. L'ultima. È l'immagine più potente e spiazzante, quella che ha mandato la cometa di Adam McKay a schiantarsi contro il conformismo cinematografico anche italiano, a far deflagrare in mille pezzi le certezze dell'intellettualismo dem sempre alla ricerca di comode legittimazioni hollywoodiane.

     

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    Attendere la fine del mondo con una cena tenendosi per mano e pregando Dio: è la scena meno raccontata di Don't look up (Non guardare lassù), anzi subito rimossa e gettata nel cassonetto dell'indifferenziata.

     

    Per la critica ufficiale doveva essere il film dell'anno prima di uscire perché metteva insieme i due totem più rassicuranti della sinistra liberal: Netflix con i suoi sceneggiatori da centro sociale e l'ambientalismo in salsa gretina.

     

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    Invece niente, abbonda il fuoco amico. Stroncature, perplessità, recensioni tendenti all'isterico («Cinico e insopportabilmente arrogante», Hollywood Reporter; «Un disastro, spiega ciò che è ovvio», il Guardian) e solo qualche concessione alla credibilità del regista, quel McKay osannato per avere preso a frustate gli squali di Wall Street in La grande scommessa e autore di commedie brillanti con Will Ferrell contro le ipocrisie del capitalismo obamiano buono per decreto.

     

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    Per la media dei critici il film non vale più di «cinque» mentre per gli spettatori va oltre il «sette» e l'interesse è confermato da un record: nei primi tre giorni su Netflix ha accumulato 111 milioni di ore di visione.

     

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    La storia rientra nell'alveo classico del disaster movie: una cometa come quella che spazzò via i dinosauri è in rotta di collisione con la Terra e poiché ha un diametro di nove chilometri - e nel cast non c'è Bruce Willis - fra qualche mese la distruggerà.

     

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    Due astronomi di provincia (Leonardo Di Caprio, Jennifer Lawrence) non riescono a convincere i potenti di turno che la minaccia è seria, anzi vengono derisi (lei) e inglobati nel sistema (lui). Una metafora ovvia per richiamare il riscaldamento globale, in totale sintonia con l'afflato ecologista di Di Caprio.

     

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    Se a ciò si aggiungono solidi riferimenti antitrumpiani (Meryl Streep è una presidente macchiettizzata, garrula e imprevidente), ecco il piatto pronto per far godere il ceto medio riflessivo progressista. Poiché McKay non ha nessuna intenzione di farsi seppellire dai luoghi comuni, cominciano i problemi.

     

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    A indisporre il cinefilo politicamente corretto è una foto nello studio ovale: Streep abbracciata a Bill Clinton, come dire che nessuno è innocente. A irritarlo è la descrizione del mondo mediatico, impegnato a scegliere le notizie attraverso il gradimento social, quindi incline a considerare delirante la denuncia dei due esperti.

     

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    Il giornalismo televisivo ne esce a pezzi e la regina del talk show (Cate Blanchett) sembra la caricatura di Lilli Gruber. A questo punto il critico comincia a contorcersi sulla poltrona e a domandarsi: nessun poliziotto del karma che abbia controllato il montaggio, ma a Netflix erano tutti in ferie?

     

    Lo smantellamento delle icone globaliste continua quando entra in scena il re dei telefonini che dovrebbe fermare la cometa, tronfio e ambiguo, un mix di Jeff Bezos, Mark Zuckerberg ed Elon Musk, pronto a trarre vantaggio anche dalla fine del mondo.

     

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    A un certo punto compaiono pure i Ferragnez: un'icona pop (Ariana Grande) e il suo rapper si lasciano e si rimettono insieme in diretta Tv mostrando melassa pubblica e ferocia privata mentre moltiplicano i like. Ora il critico avrebbe bisogno dello Xanax usato da Di Caprio per calmarsi; tutti i suoi riferimenti culturali stanno andando in aceto. Anche il titolo non aiuta.

     

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    L'invito a non guardare lassù e a fidarsi ciecamente delle istituzioni rincorre un certo negazionismo vaccinista invitando il suddito a non dare nulla per scontato e a difendersi dalla mefitica alleanza fra potere politico, potere economico, media e comunità scientifica. Come per i subprime, quando Steve Carell dice: «Ti stanno fregando e tu pensi alla partita di baseball».

     

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    A supporto della tesi subliminale, nel film scorre un numero telefonico per tranquillizzare i cittadini; la voce degli esperti, il verbo dei Bassetti e dei Crisanti della ionosfera: 1-800-532-4500. Chi lo ha composto veramente per curiosità a fine film si è trovato collegato con una linea erotica. La rivista Variety ha parlato di un «Armageddon di sinistra».

     

    Per la verità è un Armageddon della sinistra, che entra in loop a tal punto da passare direttamente alla rimozione quando il regista (e qui non possiamo non spoilerare, sorry) gira la scena dell'ultima cena.

     

    L'unica seria, priva di sarcasmo, circondata dal rispetto: il vero testamento del film. La cometa sta per distruggere il pianeta e gli sconfitti si ritrovano attorno a una tavola con frittelle, insalata, vino e un dilemma: se sia più buona la torta fatta in casa o quella confezionata.

     

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    A un minuto dalla fine di tutto, Di Caprio solleva un ultimo quesito: «La nostra famiglia non è molto religiosa, ma dovremmo almeno dire Amen». Allora il ragazzo raccolto nei bassifondi, il millennial rasta con la famiglia disastrata e il cappellino al contrario, che passa il tempo a rubacchiare nei supermercati, chiede a tutti di prendersi per mano.

     

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    E prega a voce alta: «Padre nostro e Onnipotente creatore, abbi pietà di noi stasera e perdona il nostro orgoglio. Perdona i nostri dubbi. Ma soprattutto, Signore, ti chiediamo di amarci in questo momento buio. Affronteremo ciò che ci aspetta secondo il tuo divino volere, con coraggio e accettazione».

     

    Non tutto è perduto per McKay. E questo è imperdonabile per il critico dem, materialista senza speranza, così furente da saltarsi addosso da solo, che boccia il film derubricandolo a misera parodia ecologista.

     

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    C'è da capirlo. In due ore il poveretto ha digerito la demolizione sistematica dei suoi miti: il giornalista collettivo delle coscienze tutto Chartbeat e botox, gli eroi siliconvallici del globalismo tecnocratico, gli esperti che suonano la musica del potere. Ma sul finale cattolico l'intellettuale Ztl non poteva farcela ed è crollato. La salvezza non sta nel fissare come scimmie la cometa assassina che arriva. Ma nel guardare più lontano, tutti i giorni.

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