Vanni Santoni per “La Lettura - Corriere della Sera”
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«Non ci sono più le feste di una volta». «Il rave è morto!». «Dove sono finiti i valori della free tekno?». Litanie, o mantra, che si ripetono ogni anno, almeno finché non rispunta un muro di casse da qualche parte in giro per l'Europa. E certo è che l'Italia dei rave non vedeva un'estate come quella del 2021 da molti anni.
Prima c'è stato il Bordel23, a Tavolaia, provincia di Pisa, in cui crew storiche come Kernel Panik, Drop' in Caravan, Sono Pirate Unit, Trackerz e Revolt99 hanno fatto ballare seimila persone per quasi una settimana, dal 2 all'8 luglio.
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Poi il teknival Space Travel, appuntamento europeo - c'erano crew anche da Francia, Repubblica Ceca e Spagna - spuntato nei pressi di Pitigliano, al confine tra Lazio, Toscana e Umbria, dove i muri di casse erano addirittura una ventina, senza contare le centinaia di stand gastronomici e di artigianato, tirato su in una notte e scomparso nel nulla dopo una settimana di balli ininterrotti: il teknival era cominciato venerdì 13 agosto e sarebbe dovuto durare fino al 23, ma l'annegamento di Gianluca Santiago, inglese di 24 anni, nel lago di Mezzano nei pressi della festa (sebbene non compreso nel suo perimetro, il territorio è quello del comune di Valentano) e un discreto numero di denunce, ha persuaso gli organizzatori a smontare anzitempo.
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Il territorio italiano non vedeva eventi di questa portata da molti anni: si può evocare lo storico teknival di Pinerolo (Torino) dell'estate 2007, quello nel Pavese l'anno precedente o quello nell'ex base Nato di Bassano del Grappa nel 2001.
Ancora maggiore, dunque, l'impressione che hanno destato il Bordel23 e lo Space Travel, considerata anche la capacità ingegneristica degli organizzatori: oltre ai ragguardevoli impianti audio, gli stage erano dotati di aree bar, laser show, videomapping in 3D, zone chill-out e spazi per la ristorazione attrezzati con forni a legna, spine e friggitorie.
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Vale la pena capire cos'è successo nel frattempo, dato che questo ritorno in pompa magna segue a un lungo riflusso, il cui inizio si può datare attorno al 2008 e di cui si è cominciata a vedere la fine dal 2015.
Tra i primi anni Zero e il 2008, infatti, la cultura dei free party (questo il termine corretto, laddove rave indica in realtà i primi eventi inglesi anni Novanta, a base di musica acid house) da nicchia sotterranea è diventata fenomeno di massa, con gli eventi da migliaia di persone, prima piuttosto rari, che sono cominciati a spuntare con una certa frequenza.
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La conseguenza è stata l'afflusso di masse di persone che con la cultura free tekno e i suoi valori libertari poco avevano a che spartire, e quindi episodi di violenza, alcolismo molesto e abuso di sostanze diverse da quelle tradizionalmente utilizzate dai raver. L'utopia free tekno, nata dall'incrocio tra il nomadismo degli hippie, il do it yourself del punk e l'idea di «festa mobile» dei soundsystem reggae, si fondava su entactogeni come l'Mdma (sintetizzata dalla pianta di sassofrasso, la sostanza ha una storia d'uso come coadiuvante alla psicoterapia), psichedelici come l'Lsd e dissociativi come la ketamina, ma droghe pesanti come crack ed eroina erano bandite.
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Dal 2008 il quadro cambia: le droghe pesanti si vedono eccome; al chiuso dei camper si intuiscono sempre più spesso ragazzi alle prese con le bottigliette con cui si fuma il crack, le strutture di riduzione del danno si ritrovano a distribuire siringhe sterili, e anche le classiche bottigliette d'acqua iniziano a lasciare sempre più il campo ai superalcolici. Qualcuno comincia a sentirsi male, a volte finisce in tragedia - un ragazzo muore per un mix di sostanze e alcol a Segrate nel 2008; una ragazza nel Salento l'anno successivo - e stigma e repressione crescono di conseguenza.
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In parallelo a questo, il clima stesso dei free party peggiora: se un tempo si vedevano spettacoli di pirotecnica, sculture create con materiali riciclati, artigianato e acrobati, e anche i generi musicali presenti erano piuttosto variati, negli «anni bui» tra il 2008 e il 2015 le feste sono sovente costituite soltanto da un muro che spara tribe tekno (uno dei generi più duri e veloci nello spettro della musica elettronica) a ogni ora del giorno e della notte.
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Non è allora un caso se proprio in quel periodo diversi raver si spostano sui festival goa, eventi in cui si paga il biglietto, non c'è rischio di sgombero e la musica suonata è la psytrance, mentre altri... si chiudono in casa a scrivere: la percezione diffusa era che il movimento rave fosse finito e che fosse dunque venuto il momento di fare il punto, di storicizzare. Fino ad allora esisteva un solo libro italiano sul tema, Free party di Francesco Macarone Palmieri, uscito nel 2002 per Meltemi e dedicato per lo più alla primissima scena romana.
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Nel 2015 escono, oltre a Muro di casse , firmato da chi scrive (Laterza), Rave new world di Tobia D'Onofrio (Agenzia X), saggio d'impronta sociologica che traccia una storia completa del primo decennio di cultura rave e Tekno Free Doom di Syd B. (NoBook), romanzo-reportage intimista tra free party e teknival.
Nel 2017 è la volta di Once were ravers , per Agenzia X, autofiction del dj Pablito El Drito, che pubblicherà per lo stesso editore anche Rave in Italy , del 2018, serie di interviste ai protagonisti italiani.
RAVE DI MEZZANO
Nel 2020 arrivano il saggio antropologico Lo spettro di Dioniso nell'underground di Matteo Colombani (Mimesis) e Mutate or die! di Rote Zora (Agenzia X), che racconta l'epopea dei Mutoid Waste Company, storica tribù di costruttori di strutture e mezzi «mutanti».
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Inevitabile, lo stesso anno, anche la ristampa, da parte delle edizioni Shake, di T.A.Z. - Zone temporaneamente autonome del filosofo Hakim Bey, bibbia teorica del movimento, così come quella, nel 2021, per Jouvence, del classico saggio Dallo sciamano al raver dell'etnologo Georges Lapassade.
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Quest'anno è arrivato anche un fumetto, Cassadritta di Roberto Grossi (Coconino), che racconta di nuovo gli albori della scena tekno romana. Viene il dubbio, a vedere il livello di sviluppo tecnico e tecnologico di installazioni e stand all'ultimo teknival ma anche l'atteggiamento dei partecipanti, che le nuove generazioni di raver, cresciute nel mito di feste di cui avevano letto solo nei libri, abbiano introiettato proprio quei valori della free tekno che la generazione successiva ai fondatori aveva perduto (c'erano addirittura i sacchi per la differenziata!).
RAVE PARTY A MEZZANO
Di certo, di fronte a uno spettacolo strabiliante come quello offerto da un teknival (le narrazioni superficiali sbattono sempre su un paradosso: perché migliaia di persone dovrebbero fare migliaia di chilometri per qualcosa di brutto?), è difficile immaginare che i più giovani possano andarsene da lì senza il desiderio di replicare l'esperienza.
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Così, tra alti e bassi, e nonostante incidenti e repressione, la free tekno viene a dirci che è qui per restare: forse non più controcultura in senso pieno (chi ha mai visto una controcultura che dura trent'anni invece di cinque?) ma di certo ormai prassi dell'aggregazione giovanile, al pari di concerti e altri raduni. Tale passaggio non deve tuttavia fare dimenticare la specificità del free party: a un contesto di totale libertà, deve corrispondere anche un'assunzione - quella sì, radicale - di responsabilità individuale.