omicidio di mino pecorelli
La sorella di Mino Pecorelli, Rosita, chiede di riaprire le indagini sull’omicidio del giornalista ucciso a Roma il 20 marzo del 1979. Un’istanza in tal senso sarà depositata domani alla procura della capitale dal suo legale, l’avvocato Valter Biscotti. Nella richiesta si sollecitano i magistrati a riaprire le indagini sulla base di una vecchia dichiarazione di Vincenzo Vinciguerra, un ex estremista di estrema destra.
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Nella dichiarazione, raccolta dal giudice Guido Salvini nel 1992, Vinciguerra sostiene di sapere chi avrebbe avuto in custodia la pistola usata per uccidere Pecorelli. Verbale poi trasmesso alla procura di Roma i cui accertamenti non hanno portato a sviluppi investigativi su questo aspetto.
Mino Pecorelli
L’avvocato Biscotti ritiene però ora di avere acquisito nuovi elementi legati alla deposizione di Vinciguerra che porterebbero a individuare la possibile arma del delitto Pecorelli. Sui contenuti dell’istanza, il legale mantiene però l’assoluto riserbo, in attesa di sottoporla ai pm della capitale.
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L’omicidio di Mino Pecorelli, direttore di Op, Osservatorio politico, è uno dei casi irrisolti più controversi della storia giudiziaria italiana. Il giornalista venne ucciso con quattro colpi di pistola, tre alla schiena e uno in bocca, appena dopo essere salito sulla sua auto parcheggiata in via Orazio, nel quartiere Prati. Subito dopo avere lasciato la redazione di Op per tornare a casa. Pecorelli fu ucciso dai colpi sparati da vicino con una pistola munita di silenziatore.
rosita pecorelli
L’indagine venne archiviata una prima volta a Roma (nel 1991) e poi riaperta sempre nella capitale (nel 1993) e trasferita a Perugia dopo il coinvolgimento dell’allora magistrato romano Claudio Vitalone. Il processo si è poi concluso con l’assoluzione piena di tutti gli imputati da parte della Cassazione. Un procedimento che aveva coinvolto Vitalone, Giulio Andreotti, Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calò, Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati.