cervo bianco capo indiano

LA STORIA DEL FINTO CAPO INDIANO CHE INGANNÒ MUSSOLINI E L'ITALIA INTERA - NEL 1924, L'ITALIA FASCISTA IMPAZZI' PER LA VISITA DIPLOMATICA DI "CERVO BIANCO". CHE IN REALTÀ ERA UN ATTORE DI CIRCO - TRA CONTESSE, SIFILIDE, PONTEFICE E DUCE, LA STORIA DI UN GENIO DELLA TRUFFA DIVENTA UN DOCUMENTARIO (VIDEO)

 

 

Simone Viaro per www.vice.com/it

 

Se c'è una cosa che mi affascina, nella lunga e variegata storia delle truffe, è la natura di alcune di esse, esattamente a metà strada tra l'atto delinquenziale e il colpo di genio.  All'interno di questa ristretta cerchia, anche il nostro Paese ha i propri esempi—e uno di questi è una truffa sconosciuta ai più e che invece, per la sua estrema comicità e il totale impatto dissacrante, andrebbe resa nota. Sto parlando della storia di Cervo Bianco, il pellerossa che si prese gioco del Duce.

 

cervo bianco in tour in italiacervo bianco in tour in italia

Siamo nel giugno del 1924 e in Italia regna un malcontento difficile da gestire sia per la forte crisi economica, sia per le sempre più evidenti violenze fasciste ai danni degli avversari politici. In più, dopo l'omicidio del giornalista e deputato socialista Giacomo Matteotti, diventato scomodo in seguito alle denunce legate ai brogli elettorali, i sospetti si concentrano sui fascisti usciti vincitori dalle elezioni.

 

È in questo contesto che sbarca a Trieste "Cervo Bianco"—un cantante, ballerino e attore che si presenta come un principe pellerossa. Appena arrivato in Italia, Cervo Bianco giustifica la sua visita come la prima tappa di un lungo tour europeo allo scopo di incontrare capi di stato e parlare al cospetto della Società delle Nazioni delle condizioni di vita degli indiani d'America, privati dagli Stati Uniti delle loro terre e della loro libertà e confinati nelle riserve in condizoni di povertà assoluta. Agli occhi degli occidentali e degli italiani, dunque, Cervo Bianco appare come una specie di condottiero intento ridare voce ai più deboli.

 

Secondo lo studioso e documentarista Beppe Leonetti, che sul personaggio di Cervo Bianco ha girato un documentario di prossima uscita, quella degli italiani nei confronti del capo indiano ha "assunto ben presto i tratti significativi della più classica delle infatuazioni." In un batter d'occhio, l'interesse delle folle nei confronti di questa figura bizzarra a metà tra uno sciamano e un capopopolo cresce sempre di più a ogni sua apparizione pubblica.

 

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Il tour italiano di Cervo Bianco—che arriva toccare l'intera penisola, passando per otto città tra cui Napoli e Roma—è finanziato da due contesse austriache, Antonia e Melania Khevenhüller, madre e figlia. Cervo Bianco le ha conosciute a Nizza, in seguito a uno dei tanti spettacoli in cui questi fa sfoggio delle sue doti istrioniche: le due donne rimangono così affascinate dalla sua figura che, una volta venute a conoscenza delle terribili condizioni di vita degli indiani d'America, decidono di supportarlo nella sua campagna di sensibilizzazione.

 

Le cronache dell'epoca, di cui in quel periodo Cervo Bianco è protagonista assoluto, raccontano di cene sfarzose offerte ogni giorno a una trentina di commensali senza battere ciglio, tutto a spese della famiglia Khevenhüller. Un articolo dell'epoca uscito su La Stampa mostra bene quale fosse lo stile di vita del capo indiano e—di conseguenza—il tipo di fascino che esercitava:

 

"Il principe ha estratto manciate di biglietti da 50 e 10 lire, che distribuì ai più vicini. Naturalmente la folla non tardò a crescere ed in breve il donatore è stato completamente attorniato. Le banconote furono esaurite ben presto ed il principe è salito in automobile, allontanandosi dopo qualche sforzo. In piazza Unità, la folla continuò a sostare a lungo in attesa del ritorno del principe, ma inutilmente".

 

Con queste manifestazioni di sfarzo, Cervo Bianco conquista il cuore del paese—uscito spossato dal logorante conflitto mondiale e desideroso di riscatto. Come mi ha spiegato Leonetti, il motivo del suo rapido successo è facilmente riconducibile ad alcuni fattori propizi: la disposizione d'animo favorevole di un popolo in grande difficoltà a idolatrare un uomo forte e dalla vita avventurosa—virile e coraggioso—e l'assenso di un certo tipo di personalità influenti, nel caso specifico i gerarchi locali, che ne facilitano l'ascesa.

 

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Solo che appunto, Cervo Bianco non è un vero capo indiano. Sotto quello pseudonimo si nasconde Edgar Laplante, un meticcio originario del Rhode Island, figlio di un muratore e di una nativa americana. Nel suo libro L'anno dell'indiano, un romanzo dedicato a questa vicenda e recentemente ristampato da Einaudi, lo scrittore Ernesto Ferrero lo descrive come "un artista, un attore eccellente che era riuscito a cogliere i desideri collettivi, trasformandoli in un personaggio [...] Un uomo di complessione atletica, d'occhio languido e naso imperioso, capace di trasmettere un alone di autorevolezza, un carisma naturale" che "aveva assunto un'identità fittizia ma credibile, che sfruttata ad arte poteva diventare redditizia."

 

Sempre secondo Ferrero, Laplante aveva vestito per la prima volta i panni del capo indiano in occasione di una messinscena organizzata dalla Paramount per pubblicizzare il suo colossal I pionieri. "Laplante  avrebbe dovuto guidare gli Arapaho, presentarli al gentile pubblico, illustrarne i costumi, la ferocia e l'abilità guerriera," scrive Ferrero. "il film ne avrebbe ricavato un sapore di verità, di vita vissuta. Il pubblico voleva cose vere."

Da allora, Laplante non era più uscito dal personaggio e proprio da questa esperienza aveva preso spunto per la farsa con cui ha ingannato tutta Italia per diversi mesi.  

 

Intanto il suo tour continua e ovunque vada Cervo Bianco viene acclamato. Il quotidiano fascista Epoca, descrivendo la sua visita a Bari, ricorda che "lungo è l'elenco delle offerte e dei donativi con cui l'Altezza indiana ha voluto onorare la nostra città"—offerte tra cui spicca la somma di 10mila lire devoluta alla Federazione provinciale fascista. Ad Ancona un drappello ufficiale lo accoglie intonando l'inno Giovinezza!.

 

A Firenze invece lo portano in visita alla fabbrica di ceramiche Ginori e gli viene regalato un busto che ne riproduce le fattezze. Quando arriva a Trieste viene a conoscenza della figura di d'Annunzio e dell'impresa del volo su Vienna: per non voler essere da meno, il capo indiano affitta un idrovolante e atterra a Fiume, dove viene proclamato "fascista ad honorem."

 

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Al termine di quella marcia trionfale che sembra destinata a non fermarsi mai, arriva il suggello definitivo: la notizia di un incontro tra Cervo Bianco e le due personalità più importanti dell'epoca, il Papa e il Duce. L'incontro viene programmato ufficialmente ma, per cause fortuite, non si verificherà mai. Il pontefice si limita a far recapitare al capo indiano due fotografie autografate, mentre Mussolini si dice impossibilitato perché costretto in Toscana per far fronte agli scioperi dei minatori.

 

Da lì in poi, la situazione di Cervo Bianco si fa sempre più difficile. Iniziano anche a circolare voci che sia un ciarlatano, diffuse principalmente da Giorgio Khevenhüller, figlio e fratello delle due contesse, che di ritorno da un viaggio in Africa scopre che il patrimonio di famiglia è stato alleggerito di ben un milione di lire dallo stile di vita del capo indiano. Di conseguenza a Cervo Bianco viene a mancare anche il sostegno finanziario, e viene denunciato alle autorità per truffa.

 

La notizia della denuncia arriva a Laplante mentre è ricoverato in un sanatorio torinese perché malato di sifilide. Una volta che ha capito di essere smascherato, l'ex capo indiano fugge a Lugano, dove viene raggiunto da un telegramma della polizia.

Arrestato e incarcerato prima a Lugano e poi in Italia, Laplante trascorre tre anni in prigione. Dopo il suo rilascio, la sua perizia psichiatrica lo definisce un "bugiardo patologico dalla personalità istrionica."

 

Secondo Beppe Leonetti, "Edgar Laplante è stato attore secondario a cui si è presentata, per una volta soltanto, l'occasione di interpretare il ruolo principale." Leonetti osserva anche che "Laplante non ha rappresentato solamente un truffatore, ma quasi un eroe inconsapevole, vittima in un certo qual modo della sua leggerezza; una persona sola e sofferente che solo tardivamente ha acquisito consapevolezza dei reati che aveva commesso."

 

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Sul perché un così bislacco e grossolano caso di truffa abbia monopolizzato per diversi mesi l'attenzione di un'intera nazione si sono espressi bene i giornalisti Oreste del Buono e Giorgio Boiatti, secondo i quali "non era stato Laplante a inventare Cervo Bianco per gli italiani, ma gli italiani a inventare Cervo Bianco per Laplante. [ Gli italiani] avevano bisogno di qualcuno su cui proiettare il loro confuso desiderio di fasto e d'avventura, un mago che li guarisse dalla mediocrità del loro presente, qualcuno da applaudire per meriti che nessuno conosceva esattamente, e che consistevano principalmente in una ricchezza favolosa."

 

Di questa vicenda dai confini che ancor oggi non sembrano essere ben delineati, rimane la sequela di inganni e mezze verità che Cervo Bianco si è lasciato alle spalle. Ma anche un ritratto efficacissimo degli italiani dell'epoca, del loro desiderio di essere ingannati, del loro bisogno nel credere a maschere e finzioni teatrali.