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Massimo Sideri per il “Corriere della Sera”
«Non esistono piccole squadre. Esistono solo grandi storie». Quale tifoso lo metterebbe in discussione quando legge della sua squadra del cuore? Ma è proprio di loro, i tifosi, che parlava Alex Mather mentre, con questa frase, assumeva giornalisti in giro per gli Stati Uniti per seguire i team locali e universitari del football americano, del basket, del baseball e dell'hockey su ghiaccio.
Mather è lo startupper quarantaduenne che con Adam Hansmann, trentaquattro anni, ha fondato nel gennaio del 2016 The Athletic , il giornale sportivo senza pubblicità - leggi solo se paghi - che sta per essere acquistato per 550 milioni di dollari dal New York Times .
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La storia di The Athletic, un caso nei media che ora tutti cercheranno di studiare e magari replicare, è iniziata così, con dei tifosi frustrati e l'intuizione di restare locali nell'era globale di Internet: «Quando mi sono spostato a San Francisco - aveva raccontato tempo fa Mather - ero un fan frustrato perché era impossibile trovare articoli di qualità sulle mie squadre del cuore di Philadelphia. I contenuti generati dagli utenti (leggi Facebook e social network, ndr ) erano deludenti».
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«I giornali nazionali parlano solo dei Dallas Cowboys» aveva aggiunto sarcastico lo stesso Mather su un podcast di Recode. I due (segni particolari: nessuna esperienza di giornalismo) si sono conosciuti lavorando insieme per Strava, l'app per runner e ciclisti. Hansmann è l'uomo della finanza: ha studiato all'Università di Notre Dame dove, a diciannove anni, aveva già messo su un servizio notturno per fornire bibite fresche nel dormitorio del campus («Ho scoperto in questo modo di voler fare l'imprenditore»).
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Mather è l'uomo del prodotto. Così a Chicago, nel gennaio del 2016, aprono il primo sito di The Athletic , assumendo i migliori giornalisti sportivi dai media locali che stavano chiudendo. Chi ha messo in dubbio che dietro ogni crisi si nasconda un'occasione? Hanno fatto la stessa cosa in tante altre città: da Toronto, la seconda, a Londra, l'ultima, con cui si sono aperti al calcio.
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Mather è diventato noto perché allo stesso New York Times aveva spiegato così, nel 2017, il suo modello di business: «Succhieremo ai giornali locali i loro migliori talenti, rendendogli difficile la vita». Non ce n'era bisogno: sono centinaia i media locali che hanno chiuso negli ultimi anni negli Usa. Oggi, a scanso di equivoci, ha abbandonato la retorica del tipico «disruptor» californiano.
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The Athletic è stata definita la Netflix dei giornali sportivi. Ma il vero modello è Uber: essere in tutte le città dove il servizio ha una forte domanda («Vogliamo essere i più importanti giornali locali di sport nelle principali città. Inutile fare concorrenza sul nazionale ai grandi media»). La tecnologia chiaramente c'è, ma Mather preferisce parlare di talenti: «Il trucco è avere la migliore squadra pagandola il 30-40% in più di prima».
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Oggi ha 500 giornalisti e ha funzionato: il New York Times sta pagando 458 dollari ad abbonato (quelli del New York Times valgono circa il doppio). Il primo investitore della società è stato il loro ex capo in Strava. La qual cosa conferma una vecchia regola: sempre mantenere i buoni rapporti con i propri ex capi.
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