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    "A MOLTI QUESTA VITA NON SEMBRA NORMALE PER UNA DONNA. MI DICONO: 'PERCHÉ FAI PUGILATO? SEI CARINA'" - LA STORIA DI CHIARA DITURI, PUGILESSA NATA E CRESCIUTA A NEW YORK DA GENITORI ITALIANI - LA 30ENNE SI ALLENA ALLA "GLEASON'S GYM" A MANHATTAN, LA PALESTRA PIÙ FAMOSA AL MONDO (LA STESSA DI MUHAMMAD ALI E MIKE TYSON) E PUNTA IL TITOLO MONDIALE DEI PESI SUPERPIUMA - L'INFANZIA COMPLICATA, LA BOXE COME VALVOLA DI SFOGO, LA FEDE E I PROBLEMI DI SALUTE DOPO UNA COMMOZIONE CEREBRALE: "LA MIA PAURA PIÙ GRANDE NON È MORIRE MA NON VINCERE…"


     
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    Estratto dell'articolo di Viviana Mazza per il "Corriere della Sera"

     

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    Quando sale sul ring, Chiara Dituri porta scritto sulla cintura il suo soprannome: Speedy . Un metro e 65. Cinquantasette chili. Nove vittorie e una sconfitta in carriera. […] «La mia difesa è al di sopra della media, credo. So come posizionarmi per essere colpita meno di altri pugili», ci dice questa ragazza trentenne nella casa dove vive con la mamma a Bensohurst, Brooklyn. […] Il suo è diventare campionessa mondiale dei pesi superpiuma.

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    Dituri insegna educazione fisica in una scuola superiore, ma ogni giorno si allena all’alba, prima di andare a lezione, e poi dopo il lavoro, alla Gleason’s Gym di Dumbo, a Manhattan, la palestra di boxe più famosa del mondo, quella di Muhammad Ali e Mike Tyson. […]

     

    «Amo visceralmente questa città — dice Chiara nel documentario di prossima uscita «La Santa di Brooklyn» del regista italiano Ulisse Lendaro, che ha scoperto e raccontato questa storia italoamericana —. La amo come si ama una madre che ti critica sempre e tuo padre è scomparso da anni. È come un ring, dove chi vince resta in piedi fino all’ultimo round».

     

    IL RING DI TYSON

    […] Bruce Silverglade, il proprietario della palestra, spiega che quando la comprò 42 anni fa c’erano solo pugili professionisti e dilettanti, ma adesso che New York è cambiata e che Dumbo è diventato un quartiere «in», la maggior parte dei clienti sul ring dove Mike Tyson sferrava i suoi colpi letali sono imprenditori, donne e bambini. E il posto è diventato una location per Hollywood, con 26 film girati qui, quattro dei quali hanno vinto l’Oscar come «Toro Scatenato» con Robert De Niro, «Rocky» e «Million Dollar Baby» con Hillary Swank. Cinque campionesse mondiali si sono allenate nella sua palestra, tra cui Heather Hardy e Ronica Jeffrey. […]

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    Chiara parla veloce, nella casetta di Bensonhurst […] Il quartiere, una volta italiano, è oggi molto misto. I suoi genitori si trasferirono qui sedicenni da Mola di Bari, hanno divorziato quando lei aveva sei anni. Il padre fa l’elettricista: «Ci parliamo, ma non sempre, lui mi taglia fuori a caso e senza motivo. Ma non mi interessa, è irrilevante se mi parla o no». La madre lavora nell’amministrazione nella stessa scuola di Chiara, che ricorda così la sua infanzia: «A casa mia non c’erano emozioni. Si urlava e basta, è così che comunicavamo: urlando».

     

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    Nel documentario di Lendaro si vede un filmato pubblicato da Chiara su YouTube negli anni Novanta in cui è in auto con la mamma e il fratello Nunzio, di sei anni più grande. […] «Mi sentivo impotente crescendo, non mi sentivo ascoltata da mia madre. Non sono stata trascurata di proposito, ma aveva da fare: era preoccupata per mio fratello. Lui si drogava pesantemente. Mia madre cercava di salvargli la vita». Quando le facciamo visita, suo fratello è chiuso nella stanza al di là della cucina.

     

    […] Durante un match nel 2022, Dituri ha subito una commozione cerebrale, che ha esacerbato problemi preesistenti. «Il mio corpo era totalmente distrutto. Ero ipersensibile alla luce, non potevo uscire se non mi mettevo tre paia di occhiali da sole, avevo le palpitazioni, non riuscivo a camminare, ero debole, quasi costretta a letto», racconta d’un fiato. Nessuno sapeva di che cosa si trattasse, nemmeno i medici. «Non avevo speranze, non credevo a nessuno e non credevo che sarei migliorata. Era la fede l’unica cosa che avevo in quel momento».

     

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    GUANTONI E SCRITTURE

    La pugile porta la Bibbia nel borsone quando va in palestra. Sulla gamba destra ha un tatuaggio che dice: «Posso fare ogni cosa grazie a Cristo che mi dà la forza». Dopo molte ricerche, la diagnosi è arrivata: depersonalizzazione combinata a un disturbo d’ansia. Ansia e stress arrivano a produrre uno stato del sé alterato. «Il tuo sistema nervoso è sovra-stimolato, sei intrappolato in uno stato in cui ti senti in perenne combattimento, sempre in guardia. È qualcosa che avevo da prima, ma la commozione cerebrale l’ha peggiorato», spiega.  La riabilitazione è durata un anno e mezzo. […]

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    Chiara ha iniziato a fare karate a sei anni. […] Era un posto dove poteva essere se stessa: «Stare a casa non era sano». Era uno sfogo: le arti marziali le davano la sensazione che, «qualunque cosa fosse accaduta, non sarei stata vittima delle circostanze». […]

     

    UNO SPORT SOLITARIO

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    È passata alla boxe perché è «lo sport più violento, più duro, più pericoloso e allo stesso tempo il più eccitante. Ho sempre inseguito questa sensazione. Al mio primo match da dilettante ero spaventata: qualcuno stava cercando di picchiarmi a sangue, non mi era mai successo di sentire la mia vita in pericolo. Mi è piaciuto... È uno sport molto solitario e isolante non puoi fare quello che fanno gli altri, richiede molti sacrifici, e ci sono cose che non puoi mangiare, devi addestrarti, riposarti... tutta la mia vita segue degli orari precisi. A volte sei troppo stanca per uscire con gli amici, ho perso molti eventi familiari.

     

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    All’inizio le persone non credono in te, non per via delle tue abilità, ma perché a molti questa vita non sembra normale per una donna. Ho già la mia carriera, sono un’insegnante. Mi sento dire continuamente: “Perché fai pugilato? Sei carina, puoi fare altre cose, là ti picchiano in faccia”. Sei l’unica che ha una visione più ampia, ma è qualcosa che ti dà anche potere. Non mi interessa ciò che pensano, non essere come gli altri alla fine ti fa anche sentire bene».

     

    I suoi cugini, i Dellegrazie, che hanno una fabbrica di cancelli di ferro (A&D Iron Works) hanno creduto in lei: la sponsorizzano e la aiutano a pagare gli allenamenti. «Noi donne non facciamo molti soldi in questa professione ed è molto costoso». […] «Ma volevo essere diversa, sapere che c’è qualcosa di speciale dentro di me che non ha nessun altro. La mia paura più grande non è morire ma non vincere» .

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