Niccolò Carratelli per “la Stampa”
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Basta. Fabio Ridolfi non può aspettare oltre. Vuole mettere fine alla sua sofferenza, anche se non può farlo nel modo che ritiene più giusto. Se non gli viene consentito di compiere il suicidio assistito, a cui pure avrebbe diritto, allora sceglierà la strada più tortuosa: sedazione profonda e continua.
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Lo faranno addormentare e non si sveglierà più, ma continuerà a essere «vivo», finché la natura non farà il suo corso. Fabio ha 46 anni e vive a Fermignano (Pesaro-Urbino), da 18 è immobilizzato a letto, a causa di una tetraparesi, provocata dalla rottura dell'arteria basilare. È una patologia irreversibile: non può guarire, non può migliorare. Vorrebbe chiudere la sua vita qui e ora, scegliendo lui il momento, ma è imprigionato dalle lungaggini del servizio sanitario marchigiano: dopo aver comunicato con 40 giorni di ritardo il parere favorevole del proprio Comitato etico, Asur Marche non ha fornito indicazioni sul farmaco da usare e sulle relative modalità di somministrazione.
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La squadra di avvocati che assiste Fabio, guidata da Filomena Gallo, segretario dell'associazione Luca Coscioni, lo scorso 27 maggio ha anche diffidato formalmente l'azienda sanitaria a effettuare in tempi brevi le verifiche sul farmaco. Non è arrivata nessuna risposta, tanto da far ipotizzare un'azione penale per omissione d'atti d'ufficio.
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Ma è un film già visto con Mario (nome di fantasia), tetraplegico, anche lui marchigiano, che ha dovuto ingaggiare una battaglia legale per ottenere il completamento della procedura: ora non c'è più nulla che gli impedisca di mettere fine alla sua vita, deve solo decidere quando. La prospettiva di dover aspettare i tempi lunghi delle cause giudiziarie, continuando a stare male ogni giorno di più, ha invece spinto Fabio a fermarsi.
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Attraverso il suo puntatore oculare, lo strumento che gli consente di comunicare con il mondo, ha scritto un messaggio chiaro: «Da due mesi la mia sofferenza è stata riconosciuta come insopportabile. Ho tutte le condizioni per essere aiutato a morire. Ma lo Stato mi ignora. A questo punto scelgo la sedazione profonda e continua, anche se prolunga lo strazio per chi mi vuole bene».
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Perché in questo modo lui non sarà più cosciente, ma il suo corpo resterà lì, nel suo letto, nella sua casa, davanti ai suoi genitori e a suo fratello. Questo prevede la legge 219 del 2017, che regolamenta le «disposizioni anticipate di trattamento». Quando un paziente, in grado di intendere e di volere, ne fa richiesta (o l'ha inserita nel proprio testamento biologico), si possono interrompere tutti i sostegni vitali di cui beneficia: alimentazione, idratazione, ventilazione. Per alleviare le conseguenti sofferenze, si prevede una progressiva sedazione, che lo accompagna alla morte.
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Questo sarà il destino di Fabio e lo sarebbe stato comunque, come spiega il dottor Mario Riccio, medico dell'associazione Coscioni: «Nel suo caso si poneva un problema tecnico, perché muove solo gli occhi e non avrebbe potuto schiacciare la pompetta per iniettarsi il farmaco». Il suo percorso sarà, quindi, lo stesso di Eluana Englaro, «ci vorranno dai 3 ai 5 giorni dal momento della sospensione dell'alimentazione», precisa Riccio. Il risultato sarà lo stesso, ma nel modo in cui verrà raggiunto passa tutto il senso di una battaglia politica.
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«Fabio aveva un diritto, quello di poter scegliere l'aiuto medico alla morte volontaria, legalmente esercitabile sulla base della sentenza 242 della Corte Costituzionale (Cappato\Dj Fabo) - attacca Filomena Gallo -. Un diritto che gli è stato negato a causa dei continui ritardi e dell'ostruzionismo di uno Stato che, pur affermando che ha tutti i requisiti previsti e riconoscendo che le sue sofferenze sono insopportabili, gli impedisce di dire basta».
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La sentenza della Consulta ha depenalizzato l'aiuto al suicidio medicalmente assistito, in presenza di determinate condizioni. Protagonista di quella battaglia di disobbedienza era stato Marco Cappato, che aveva accompagnato Fabiano Antoniani a morire in Svizzera: «Ogni giorno che passa per Fabio è un giorno di sofferenza in più - dice il tesoriere dell'associazione Coscioni -. Non possiamo non notare il silenzio assoluto della politica nazionale, impegnata nell'insabbiamento al Senato del testo di legge sull'aiuto al suicidio, dopo che la Corte costituzionale ha impedito al popolo di esprimersi sul referendum».