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    VIA COL VELO - LA STORIA DI MAROUA MORCHID, CALCIATRICE DELLA PRO VERCELLI A CUI È STATO VIETATO DI INDOSSARE IL VELO DALL’ARBITRO DURANTE UNA PARTITA – “IO NON L’AVREI MAI TOLTO: PIUTTOSTO SAREI USCITA DAL CAMPO. LE MIE COMPAGNE, MA ANCHE LE AVVERSARIE, DI FRONTE A QUELLA RICHIESTA SI SONO ARRABBIATE PIÙ DI ME” – L’AIA DIFENDE LA SCELTA: “HA AGITO PER TUTELARE LA SICUREZZA DELLA RAGAZZA. SE FOSSE STATA STRATTONATA, SAREBBE POTUTA…”


     
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    Raffaella Lanza per "la Stampa"

     

    MAROUA MORCHID MAROUA MORCHID

    L'altro giorno ha pianto, ieri invece sul suo volto è ricomparso il sorriso. «Sto bene: ho realizzato solo dopo cosa sia accaduto in campo, non sul momento» dice Maroua Morchid, calciatrice classe 2005 della Pro Vercelli cui l'arbitro, suo coetaneo, durante il match di sabato sul campo di Vercelli contro l'Accademia Torino del campionato femminile Under 19 ha chiesto, per continuare a giocare, di togliersi il velo che indossava. E ha interrotto momentaneamente la gara. 

     

    MAROUA MORCHID MAROUA MORCHID

    «Son rimasta sorpresa davanti a quella richiesta - dice la calciatrice, che vive a Tronzano ma è originaria del Marocco -. Nelle altre partite avevo sempre giocato indossando il burkino e nessuno aveva mai riscontrato problemi. È il velo sportivo, che si usa su tutti i campi». Tra l'altro Maroua, quando l'arbitro ha fatto l'appello prima della gara, aveva già l'hijab tecnico e così anche in panchina. 

    MAROUA MORCHID MAROUA MORCHID

     

    «Io non avrei mai tolto il velo: piuttosto sarei uscita dal campo. Le mie compagne, ma non solo loro, anche le avversarie, di fronte a quella richiesta, si sono arrabbiate più di me: l'arbitro ha quindi fischiato la fine del match. Praticamente era il 90'. È stato bello vederle schierarsi dalla mia parte. Per me il velo ha un significato importante: fa parte di me, della mia vita. Mi fa sentire me stessa. Ha un significato profondo, più forte dello sguardo degli altri».

     

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    Per Maroua ieri la storia era già superata: è scesa in campo, sempre con l'hijab, nell'under 17, questa volta a Torino. I suoi occhioni scuri erano tornati sereni. Il sorriso nuovamente sulle sue labbra. Nella sfida contro il Torino finita poi 2-2, era entrata in campo all'85', in sostituzione di una compagna che si era infortunata. Dopo un paio di minuti di gioco, l'invito del direttore di gara in cui tanti hanno visto un episodio di razzismo, mentre per l'arbitro si trattava di uno scrupolo nei confronti di Maroua, perché non si facesse male in un eventuale contrasto di gioco. 

     

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    Se attorno a Maroua in tanti hanno fatto quadrato, con la Pro Vercelli che ha scritto sull'episodio una nota sul suo sito internet, il presidente della sezione Aia di Casale Monferrato, Williams Monte, lo fa attorno al direttore di gara: «Il nostro tesserato mi ha riferito che non aveva nessuna intenzione di offendere la sensibilità della calciatrice. Ha agito per tutelare la sicurezza della ragazza. Lui le ha chiesto di togliere lo scaldacollo, che però era integrato al velo: in un'azione di gioco, se fosse stata strattonata, sarebbe potuta finire strozzata. Non possiamo far passare un ragazzino di 16 anni come razzista». 

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    Anita Angiolini, vice presidente della Pro Vercelli, che ha voluto fortemente la squadra femminile, sottolinea: «È stato un episodio spiacevole. Non mi permetto di giudicare il comportamento del direttore di gara ma sicuramente avrebbe dovuto utilizzare più buon senso e sensibilità. Il rispetto del prossimo passa da piccoli gesti e sicuramente permettere ad una ragazza di giocare con il velo, come prescritto dalla propria religione, non deve essere fonte di discriminazione».

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