Estratto dell’articolo di Luca Monaco per www.repubblica.it
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Marta aveva 55 anni, una famiglia, un impiego di prestigio in ambito scientifico a Torino e nessun problema fisico. Nessuna malattia degenerativa. Eppure, il 12 ottobre scorso, Marta è morta in una clinica svizzera ricorrendo al suicidio assistito. Ha raggiunto di nascosto da tutti i suoi amici e parenti un centro medico a 15 minuti dal cuore di Basilea ed è andata volontariamente incontro alla morte.
La clinica ha avvisato la famiglia solo a cose fatte, con una mail finita nello spam della casella di posta elettronica del marito. Alcuni giorni più tardi l’uomo ha ricevuto a casa l’urna con le ceneri.
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È tutto quello che resta di Marta. Nessuno dei suoi cari ha avuto la possibilità di darle un ultimo saluto. Cosa forse più grave, tre mesi prima i familiari avevano scoperto che Marta aveva avviato i contatti con quella clinica, ma nessun responsabile della struttura aveva accettato di parlare con loro.
Il marito e la sorella avrebbero voluto spiegargli che Marta a gennaio 2023 aveva perso il figlio adolescente, ucciso da una malattia degenerativa e che questo l’aveva sprofondata nella depressione, ma aveva iniziato a farsi seguire da uno psichiatra: «Eravamo fiduciosi che si sarebbe ripresa», assicurano i familiari. Nessuno li ha voluti ascoltare. E per questo Marta è stata aiutata a morire.
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Per farlo le è stato sufficiente pagare 10mila e 700 euro e presentare all’associazione con sede a Basilea il certificato di nascita, di residenza, quello di matrimonio e il passaporto. A tutto il resto ha pensato la struttura fondata nell’agosto del 2019 da medici, avvocati e professionisti delle scienze sociali che si vantano di aver aiutato a morire, nel 2018 (prima di costituire l’associazione), l’ecologo australiano David Goodall: «Aveva 104 anni — ricorda l’associazione — e la sensazione di aver vissuto troppo».
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Non era certo il caso di Marta, almeno secondo l’opinione del marito. L’uomo, un professionista residente in Canada per lavoro, si interroga «su quanto sia giusto che i familiari siano del tutto esclusi dalle azioni che questi enti compiono nel processo di formazione e consolidamento della volontà suicida del proprio congiunto».
Perché la filosofia che ispira l’associazione è netta: «Il desiderio di una morte assistita dignitosa» che può animare una persona, spiegano sul sito, «non dipende esclusivamente dalla presenza di una malattia terminale. Possono influire anche la vecchiaia e la scarsa qualità della vita». […]
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Lì, dove erano stati pochi mesi prima. «Già a luglio — ricostruisce il marito — mia cognata aveva scoperto che Marta stava andando in una clinica svizzera nella quale si pratica il suicidio assistito». Allarmata, tutta la famiglia si è precipitata a Basilea. «Abbiamo raggiunto Marta — aggiunge — e l’abbiamo fatta ragionare. Ci aveva tranquillizzati, assicurandoci di aver accantonato l’idea». Dopodiché abbiamo «scritto all’associazione spiegando che mia moglie aveva subito un grave lutto, che stava passando un periodo di depressione e che chiedevamo di poter essere messi in contatto con la figura che la stava seguendo nel percorso di suicidio assistito. Non abbiamo mai ricevuto risposta».
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Il 12 ottobre, un’ora prima della morte, il suo avvocato riceve un sms da un numero anonimo, con le ultime volontà. «Per favore, vai a casa, stacca le utenze, regala i miei vestiti in beneficenza e affida a mio marito l’urna con le ceneri di nostro figlio».
La richiesta ha allarmato il professionista, che ha allertato il marito in Canada e poi è corso dalle autorità italiane a sporgere una denuncia di scomparsa. Solo ore più tardi il marito si è accorto che nella casella di posta indesiderata della sua mail c’era il messaggio che annunciava il decesso di sua moglie. […]
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