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    NON TUTTI I VIRUS VENGONO PER NUOCERE - LA STORIA DI STEFFANIE STRATHDEE, EPIDEMIOLOGA DI SAN DIEGO CHE HA CURATO IL MARITO, IN COMA E IN FIN DI VITA A CAUSA DI UN BATTERIO, CON I FAGI VIRUS NATURALI CAPACI DI CONTRASTARE I BATTERI RESISTENTI AGLI ANTIBIOTICI - LA DOTTORESSA HA SCOPERTO L'EFFICACIA DEI FAGI GRAZIE A UNO STUDIO FATTO A TBILISI, DOVE IL TRATTAMENTO È GIÀ MOLTO DIFFUSO (MENTRE IN OCCIDENTE È ANCORA CONSIDERATO UN METODO "MARGINALE") - ECCO COSA SONO I FAGI E DOVE SI TROVANO…


     
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    Alberto Simoni per “la Stampa”

     

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    Quella mattina di febbraio di sei anni fa, quando i dottori chiamarono Steffanie avevano una voce diversa. Nel loro tono c'era il segno della resa. «Suo marito è divorato dai batteri, non riusciamo a salvarlo». Steffanie Strathdee tornò nella stanza dell'ospedale californiano dove da qualche mese Tom Patterson, uno psichiatra, era attaccato alla flebo in bilico fra il coma e una fine scritta. Gli prese la mano: «Tesoro, il tempo sta scadendo, devi dirmi se vuoi continuare a vivere. Non so se riesci a sentirmi, ma se puoi, stringi forte la mia mano».

     

    Passarono dei secondi lunghi un'eternità, poi le dita di Tom si irrigidirono attorno alla mano della moglie. Steffanie non aveva alcuna ricetta magica, ma è una epidemiologa e dirigente del dipartimento di scienze mediche globali dell'Università della California a San Diego.

     

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    Aveva sentito parlare dei fagi, virus naturali capaci di contrastare i batteri resistenti agli antibiotici. «Avevo iniziato a realizzare ben prima che i dottori ammettessero che non c'era nulla da fare - ha raccontato la dottoressa alla Conferenza Life Itself - che mio marito stava molto peggio di quanto pensassi e che la medicina moderna aveva esaurito il ventaglio di antibiotici per curalo».

     

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    Quindi aveva cominciato le ricerche. Come uno studente qualunque si mise su Google e scovò uno studio fatto a Tbilisi da un ricercatore sull'uso dei fagi in medicina. Scoprì dopo qualche telefonata che in Georgia il trattamento era molto usato, ma che in Occidente era considerato un metodo «marginale», ai confini della scienza e per questo trascurato.

     

    I fagi sono ovunque. Ce ne sono miliardi nel suolo, nell'acqua, nel nostro corpo, nei letamai, stagni, fienili. Non tutti però fanno lo stesso lavoro, non tutti sono adatti per uccidere i batteri, altri uccidono l'ospite. La dottoressa Strathdee cominciò a rintracciare gli scienziati che catalogavano e studiavano i batteriofagi. Scrisse e-mail a emeriti sconosciuti implorandoli di aiutarla.

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    Dal Texas si fece vivo un biochimico, Ryland Young: professore alla Texas A&M University e da 45 anni studiava quei virus. Lo convinse a lavorare al suo caso. «Fu così determinata che in pochi giorni tutto lo staff si era messo al lavoro, 24 ore su 24, sette giorni su sette per passare al setaccio 100 differenti esemplari e per individuarne due nuovi». Alla missione ha partecipato anche il centro di ricerca della US Navy che ha una banca di fagi raccolti nei porti di tutto il mondo.

     

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    Dopo un po' i centri hanno incrociato i dati, le caratteristiche e le potenzialità dei vari virus fino a che è stato individuato quello che poteva aggredire i batteri nel corpo di Patterson. La Fda (Food and Drug Administration Usa) ha dato il via libera al cocktail di famaci non convenzionale per «motivi compassionevoli» accelerando così la procedura e facendo diventare il signor Patterson il primo paziente americano a subire un simile trattamento.

     

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    Pochi giorni dopo, il cocktail preparato dalla Us Navy arrivò in California e Steffanie era in piedi accanto ai medici che facevano una flebo con la «nuova pozione» al marito. Lentamente si è risvegliato dal coma.

     

    L'uomo si era sentito male durante una crociera sul Nilo nella settimana del Thanksgiving del 2015. Improvvisamente aveva sentito dei crampi allo stomaco. La clinica dove era stato ricoverato d'urgenza in Egitto non era riuscita a capire cosa stesse accadendo al suo corpo, le prime cure anzi peggiorarono la situazione e Patterson venne portato in Germania dove i dottori gli riscontrarono un ascesso grande come un chicco d'uva invaso dal Acinetobacter baumanii, un batterio virulento resistente a quasi ogni tipo di antibiotico catalogato fra i patogeni più pericoli dall'Organizzazione mondiale della Sanità.

     

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    Il batterio si trova fra le sabbie del Medio Oriente ed è stato sovente riscontrato nelle ferite dei soldati americani colpiti dalle schegge delle bombe lungo le strade dell'Iraq tanto da essere rinominato «Batterio iracheno». Dopo la tappa tedesca Tom era rientrato a San Diego, nessuna cura sembrava funzionare. Stava bene per alcuni giorni, poi peggio, un calvario che si allungava di settimana in settimana fino a che diversi organi erano compromessi.

     

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    La situazione era precipitata a fine 2015. Sette anni dopo quella crociera, Patterson è felicemente in pensione ed è tornato a girare il mondo. La lunga e devastante malattia ha lasciato strascichi evidenti: Tom soffre di diabete, di insufficienza cardiaca e i danni allo stomaco lo obbligano a una dieta povera. «Ma non ci lamentiamo proprio, ogni giorno che mi sveglio è un dono». Grazie a una stretta di mano, alla «follia» della moglie e ai fagi.

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