Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
mario draghi g7 germania 2
Il percorso del governo è delineato da qui alla fine della legislatura. Si conoscono anche i passaggi accidentati - come la Finanziaria - in vista dei quali Palazzo Chigi si sta già attrezzando per attraversare il guado senza danni. Ma sul sentiero della politica c'è sempre il rischio di scivolare sulla classica buccia di banana.
Per evitare passi falsi all'esecutivo, verrebbe utile la collaborazione delle forze di maggioranza. Se non fosse che i partiti sono costantemente in trance agonistica pre elettorale. E nonostante sappiano di partecipare a un gabinetto di larghe intese, continuano a scontrarsi su provvedimenti sui quali è impossibile trovare intese bipartisan. E che sono destinati ad arenarsi senza diventare leggi.
conte draghi grillo 4
Eppure insistono, da destra come da sinistra, rendendo per Draghi più snervanti le mediazioni a Roma di quelle a Bruxelles. Ieri il premier era al vertice Nato. E mentre discuteva di strategie geopolitiche veniva informato dai suoi uffici di quanto accadeva in Parlamento, dove i partiti di maggioranza si dedicavano a piantare bandierine, incuranti di mettere a rischio gli equilibri di governo.
BEPPE GRILLO - GIUSEPPE CONTE - MARIO DRAGHI - BY EDOARDO BARALDI
A Montecitorio il blocco di centrosinistra, forte dei numeri nella conferenza dei capigruppo, decideva di portare in Aula i progetti di legge sullo ius scholae e sulla cannabis. Già alla Camera l'iter si preannuncia tormentato, «ma al Senato - come ammettono nel Pd - lo sappiamo di non avere i numeri per approvarlo».
Insomma, il destino dei provvedimenti appare segnato. Tanto è bastato perché la Lega salisse sulle barricate, denunciasse la rottura degli accordi di maggioranza e avvisasse il governo che «così non si può andare avanti».
Peccato che nelle stesse ore, nell'altro ramo del Parlamento, proprio il Carroccio contravveniva alla regola della larga maggioranza. E insieme a Forza Italia, decideva di votare un emendamento di Fratelli d'Italia per tutelare i balneari dalla direttiva Bolkestein.
giuseppe conte mario draghi
A nulla erano valse le obiezioni di quei (pochi) leghisti e forzisti che avevano colto le contraddizioni a cui andavano incontro: «Abbiamo appena votato la legge sulla Concorrenza, che dice l'esatto contrario». Risposta: «Tanto l'emendamento non passa». Infatti veniva bocciato. Il voto era servito a non lasciare il consenso dei balneari solo alla Meloni.
Spesso i partiti avvisano il premier che stanno per lanciare delle bucce di banana «per ragioni di equilibrio politico». Ma l'imprevisto va sempre messo in preventivo, nel senso che i calcoli possono essere errati. E questo impone un lavoro stressante di controllo.
MATTEO SALVINI MARIO DRAGHI
Proprio quanto è accaduto (sempre ieri) al quarto piano della Camera, dove si riunivano le commissioni Bilancio e Finanze per esaminare il decreto Aiuti. E dove i grillini avevano programmato un blitz per impedire la realizzazione del termovalorizzatore a Roma, sommersa dai rifiuti. Missione fallita. Il bello è che Forza Italia, protagonista al Senato del voto contro il governo sulla Bolkestein, faceva sapere di aver votato contro l'emendamento grillino «per senso di responsabilità verso il governo e per amore verso la Capitale».
GIUSEPPE CONTE DOPO L INCONTRO CON MARIO DRAGHI A PALAZZO CHIGI
Nel frattempo al piano terra di Montecitorio - dopo che il ministro Gelmini aveva risposto al question time sulla riforma delle Autonomie regionali - Bersani ed Errani convocavano una conferenza stampa per annunciare che quel ddl non lo avrebbero approvato. Per un ministro che veniva sconfessato da un partito della sua maggioranza, si è arrivati a un ministro che sconfessava il suo governo: «Va cambiato il cambiamento al Superbonus», avvisava il grillino Patuanelli.
CONTE SALVINI
La strada di Draghi verso la fine della legislatura è lastricata di buone intenzioni e di bucce di banana. Ieri, dopo aver assicurato che «il governo non rischia», è stato costretto a lasciare Madrid per tornare a Roma e affrontare Conte sul «caso Grillo»: «Sarà un'altra giornata di fuoco ma senza arrosto», sostengono nel Pd, dove in pochi credono che il leader del M5S avrà la forza di rompere con l'esecutivo.
ENRICO LETTA PARLA DI DRAGHI A PORTA A PORTA
Nello stesso Pd c'è però chi attende con ansia il 2023 per liberarsi del premier. «Mai più governi di larghe intese», ha detto il vice segretario Provenzano. Che tradotto dal politichese vuol dire: mai più Draghi a Palazzo Chigi. Quando Draghi si insediò, Renzi disse che sarebbe stato «la safety car» dietro cui i partiti avrebbero potuto «riallinearsi e rilanciarsi». E invece, dopo sedici mesi, i partiti non sono riusciti a realizzare la benché minima riforma del sistema politico, che pure era di loro competenza. Da allora solo bandierine.
salvini putin conte