1. VOLEVANO UCCIDERLI TUTTI, C' È UN SOSPETTATO
Rinaldo Frignani per il Corriere della Sera
Volevano sterminare tutti gli Halilovic. Ma si sono sbagliati. Ci avevano già provato cinque notti prima bruciando il camper di Devlija, la nonna di Romano, il capo clan, che però era vuoto. E allora lo hanno fatto ancora, martedì notte, questa volta a poche decine di metri, nel parcheggio del centro commerciale di Centocelle.
CAMPER ROGO CENTOCELLE
È la sconvolgente novità delle indagini sul rogo nel quale hanno perso la vita Elisabeth, Francesca e Angelica. La loro famiglia era terrorizzata dalle minacce, costretta a fuggire dal campo in via Salviati, a Tor Sapienza, poi dalla Barbuta, sull' Appia. Pensavano che quel parcheggio fosse un rifugio sicuro, anche illuminato dai lampioni. Non era così. Ma la Squadra mobile, diretta da Luigi Silipo, stringe il cerchio su chi ha lanciato la bottiglia incendiaria contro il camper, fuggendo poi in auto. Forse non era solo.
Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso tutto, probabilmente anche il volto dell' attentatore, che avrebbe già un nome. È un rom. Ma non sarebbe l' unico sospettato: la polizia ha ascoltato diverse persone, perquisito baracche e container nei campi rom della Capitale. La pista dei contrasti fra clan - screzi vecchi e nuovi con altri gruppi - è quella giusta, conferma chi indaga, in attesa degli accertamenti sui frammenti di vetro della molotov. Si cercano impronte.
virginia raggi sul luogo del rogo del camper
Accertamenti che potrebbero portare entro breve all' individuazione del killer delle bambine e della loro sorella maggiore. Angelica, Francesca ed Elisabeth sono state ricordate ieri nella basilica di Santa Maria in Trastevere nella commovente cerimonia organizzata da Sant' Egidio.
C' era anche la madre delle vittime, Mela Hadzovic, con alcuni dei figli sopravvissuti visibilmente provati. In più di mille li hanno abbracciati, mentre undici ragazzini rom indossavano le magliette con la scritta «Non sono pericoloso, sono in pericolo». Sulle prime panche rappresentanti del Senato, della Regione, la prefetta Paola Basilone e la ministra dell' Istruzione Valeria Fedeli. Non c' era la sindaca Virginia Raggi e l' hanno notato in molti. In serata dal Campidoglio è stato deciso di dichiarare il lutto cittadino nel giorno dei funerali delle bambine.
2. LA STRAGE DELLE SORELLINE
Maria Rosaria Spadaccino per il Corriere della Sera – Roma
«Rinte a cap te spar». La scritta sulla sbarra d' ingresso al campo rom di via Salviati è chiarissima: «Ti sparo in testa». Così chi non deve entrare sa cosa potrebbe accadere. Nel giorno della veglia funebre di Elisabeth, 4 anni, Angelica 8, Francesca 20. L e tre sorelle Halilovic morte nel rogo del camper di famiglia a Centocelle, nell' insediamento si respira un' aria tesissima.
il luogo del rogo del camper
Fuori due pattuglie dei vigili urbani controllano ingressi e uscite, con accanto i mezzi della polizia. Si temono vendette, si teme che un' azione così terribile presto venga ricambiata.
«I bambini non si toccano mai, anche se odi i loro genitori», dice un rom che esce alla guida di una Mercedes. Non vuole dire il suo nome ripete solo, «i bambini non si toccano». La moglie scuote la testa, ha il viso scurito dal sole, i capelli raccolti in una crocchia «dobbiamo prendere i fiori per le bambine».
Qui gli Halivoc li conoscono tutti, ma nessuno vuole parlare. Amina, serba, ha 40 anni entra nel campo con il figlio di 11, dalla parte della sua etnia. Tra i serbi ed i bosniaci c' è una sbarra di separazione, più che altro ideale, visto che qualcuno va da una parte all' altra. La zona serba è pulita, decorosa (come può essere un villaggio di baracche), quella bosniaca è sporca, ci sono cumuli di immondizia stratificati con baracche.
camper in fiamme muoiono tre ragazzine
«Da ieri non dormo pensando alle bambine - continua la nomade serba- Ora ho paura che possa accadere ancora qui. Vorrei tornare in Serbia ma non posso, i miei figli sono nati qui e farli venire lì ora è complicato». Nella zona serba c' è più serenità, nella baracche si gioca a carte, si ride, Olga prepara il caffè al marito Vladic, musicista che vive in Italia da 40 anni. Dalla parte bosniaca arriva un ragazzo, giovane, robusto con una canottiera rossa.
«Dovete andare via di qui», ci dice con tono minaccioso. Solo un' ora prima nella parte bosniaca il cronista de «Il Messaggero» è stato picchiato. L' altro campo frequentato dagli Halivovic è quello della Barbuta, vicino Ciampino. Qui la polizia neanche c' è, solo una pattuglia di vigili urbani controlla l' ingresso. Tre vigili per un territorio sterminato e centinaia di nomadi, di cui la maggior parte clandestini.
L' ingresso al campo è tra cumuli di immondizia, frigoriferi, televisioni e masserizie. Di lato c' è la zona dei nomadi italiani, pulita, decorosa, con casette prefabbricate. «Le abbiamo comprate noi, perché i bambini vivessero meglio - spiega Bartolomeno Cena, 54 anni, nomade torinese - ma siamo senz' acqua, senza fogna. Da anni il Comune promette il trasferimento, ma non accade. Ed ogni giorno i nostri bimbi devono respirare i miasmi dei roghi dei nostri vicini».
I bosniaci ci invitano a restare lontani dalla loro baracche, i nomadi italiani vorrebbero allontanarsi da loro. «Stiamo lavorando per il superamento dei campi, il bando è quasi pronto - ribadisce la sindaca Raggi -. Ci sono anche qui anni di stratificazioni che dobbiamo disincastrare ed invertire la rotta. Evidentemente è un modello che è fallimentare». Il nipote di Bartolomeo, 1 anno, schiaccia il nasino contro il vetro del prefabbricato. È malato, non dovrebbe respirare i fumi delle masserizie bruciate intorno.
camper in fiamme muoiono tre ragazzine
Ma è nato alla Barbuta e non può aspettare troppo i cambi di modello.