Alessandro F. Giudice per il Corriere dello Sport
Il calcio europeo non ha un problema economico ma potrebbe avere presto un enorme problema politico. La prepotente avanzata saudita propone infatti scenari dirompenti, difficili da immaginare solo qualche anno fa.
mohammad bin salman
L’acquisto apripista di CR7, sei mesi fa, sembrava un capriccio da sceicchi. Una bizzarria. Ma l’Al-Nassr ha aumentato i follower su Instagram da poche migliaia a quindici milioni. I diritti tv del campionato saudita sono stati venduti in 36 Paesi. Dopo Ronaldo sono arrivati Benzema, Koulibaly, presto Kanté, Brozovic e altri. Se il Qatar deciderà di raccogliere la sfida, potrà contendere a colpi di decine (o centinaia) di milioni tanti campioni al regno del vicino. Intanto, il fondo statale Pif ha acquistato i quattro maggiori club del paese realizzando un campionato quasi privato, gestito con logica unitaria e commerciale. L’annunciata privatizzazione di Pif permetterebbe di passare da una logica di puro divertimento dei sudditi a un modello di business finalizzato alla generazione di ricavi.
Se ciò accadesse, il campionato saudita potrebbe entrare in diretta concorrenza coi campionati europei Big Five, forse perfino con la Champions.
infantino bin salman
Tuttavia, la differenza fondamentale tra la lega araba e i campionati tradizionali risiede nel fatto che in Europa i rapporti competitivi sono regolati da logiche di impresa, costi e ricavi. I club dei campionati occidentali sono società di capitali in cui gli investitori cercano un ritorno finanziario seppure, ormai da anni, questo tipo di capitali in cerca di rendimento coesiste coi fondi sovrani di stati nazionali come Qatar e Abu Dhabi.
I club della penisola araba sono espressione di un progetto dirigista nazionale finanziato da ingenti ricchezze accumulate con lo sfruttamento secolare dei giacimenti di petrolio. Un meccanismo che non ha nulla di competitivo, nulla lontanamente vicino all’economia di mercato. Dove potrebbe spingersi questa politica acquisitiva?
mohammed bin salman
Supponiamo che i sauditi arrivino a investire 20 miliardi (quanto l’intero fatturato del calcio europeo) nell’acquisizione di campioni. Supponiamo che tutti i giocatori del calcio europeo finiscano per accettare le proposte, poi che un gigantesco effetto band-wagon porti tanti altri (magari non interessati, per ora, alla relocation) a spostarsi per andare dove giocano i grandi. Qualcuno può escluderlo, tra qualche anno?
Ma come può il calcio europeo - e questo è il punto - assistere inerme, non solo al saccheggio di campioni, ma allo svuotamento della capacità attrattiva grazie alla quale la Premier fattura 6,4 miliardi e la Champions quasi 5?
Quando si palesò il progetto Superlega, i dirigenti del calcio europeo alzarono le barricate. Cosa pensano di fare oggi, al cospetto di una minaccia ancora più temibile, perché proveniente non più dall’interno del continente europeo, ma da fuori? Tutto sommato la Superlega era un fenomeno endogeno mirante a sostituire un gruppo di potere (l’Uefa) con un cartello di operatori commerciali tra i più potenti dell’industria. Ora siamo di fronte a un competitor esterno impossibile da arginare con mezzi convenzionali. Contro la Superlega scesero in campo i governi: in 24 ore le cancellerie (soprattutto il numero 10 di Downing Street) si mobilitarono, imponendo alle società dei rispettivi paesi di abbandonare la secessione. Il calcio è un fenomeno popolare di massa, si disse, di cui non possiamo permettere la destabilizzazione per l’interesse economico di pochi. Cosa pensano di fare oggi i governi?
mohammed bin salman
L’Unione Europea si è sempre qualificata per mettere al primo posto le prerogative del consumatore. Libera circolazione di merci e persone, libero scambio, libera concorrenza sono i cardini della cultura comunitaria. Non è il caso di contrastare con norme antitrust l’emergenza di un potenziale monopolio dei capitali investiti nel calcio?
In molti Paesi (tra cui l’Italia) esiste la golden share, una norma che consente al governo di bloccare l’acquisizione di aziende nazionali da parte di competitor esteri se l’esecutivo ritiene contraria agli interessi nazionali la caduta in mani estere di asset strategici. In principio, solo per asset di interesse militare, poi anche aziende con forte contenuto tecnologico. È pensabile attribuire all’asset rappresentato dai calciatori un valore strategico che legittimi l’erezione di barriere all’entrata? Quanto si dovrà attendere perché ciò accada?
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