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    NON SI E’ ANCORA INSEDIATO E GIA’ TRUMP HA LA PRIMA ROGNA - LA SUA TELEFONATA CON LA PRESIDENTE DI TAIWAN, TSAI ING-WEN, FA INFURIARE PECHINO CHE PROTESTA: “C’È UNA SOLA CINA” - L’ISOLA SOGNA L’INDIPENDENZA O ALMENO UNA SEPARAZIONE DI FATTO - KISSINGER A COLLOQUIO CON XI JINPING


     
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    Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera”

     

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    Dieci minuti di telefonata tra la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, e Donald Trump hanno provocato «rimostranze solenni» da Pechino e causato la prima crisi internazionale per il presidente eletto degli Stati Uniti.

     

    Dal 1979, quando Washington chiuse le relazioni diplomatiche con Taipei per allacciare formalmente quelle con Pechino, nessun presidente americano aveva parlato direttamente a un leader di Taiwan, l' isola democratica definita dalla Cina una provincia che dovrà immancabilmente tornare alla madrepatria. Prima o poi; per via pacifica o con la forza delle armi, ci sarà la riunificazione ripetono a Pechino.

     

    trump e james mattis trump e james mattis

    Ora la signora Tsai Ing-wen, eletta a gennaio ed esponente di un partito che sogna se non proprio l' indipendenza formale almeno il mantenimento della separazione di fatto, ha ottenuto un colloquio con l' uomo che il 20 gennaio prenderà possesso della Casa Bianca. Dopo che Taipei ha dato la notizia della conversazione e la situazione si è surriscaldata, Trump, come al solito, ha affidato a Twitter le sue riflessioni: «La presidente di Taiwan mi ha chiamato per congratularsi della mia elezione. Grazie!». E poco dopo: «Interessante come gli Usa vendano a Taiwan miliardi di dollari di equipaggiamento militare ma io non dovrei accettare una telefonata di congratulazioni».

     

    In realtà il nuovo presidente americano sa bene (o dovrebbe sapere) che il suo Paese fin dal 1972 ha accettato il principio che esiste solo «Una Cina» e che quindi dovrebbe formalmente ignorare la leader taiwanese. Anche se poi in effetti gli Stati Uniti hanno sempre garantito la sicurezza dell'isola democratica, vendendole armi e spostando portaerei davanti a Taiwan quando la Cina comunista si è fatta troppo aggressiva.

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    La telefonata nella quale i due leader hanno discusso «gli stretti legami politici, economici e di sicurezza Usa-Taiwan» non poteva passare sotto silenzio a Pechino. Qui è vista come una provocazione da parte di Tsai Ing-wen e come un' imprudenza (al minimo) da parte di Trump. «Si tratta di un trucchetto taiwanese, il Principio "Una Cina" è la pietra angolare delle relazioni sino-americane e non vogliamo che questo principio politico sia sovvertito o danneggiato», ha ammonito il ministro degli Esteri cinese Wang Yi.

     

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    Sarà un «trucchetto taiwanese», sarà inesperienza di Trump, ma la telefonata non è di poco conto: i cinesi hanno il culto e l' ossessione della stabilità, all' interno e nei rapporti internazionali. Non possono accettare che un' intesa consolidata venga messa in discussione. A inizio novembre il presidente cinese Xi Jinping ha affermato: «Il partito comunista sarebbe rovesciato dal popolo se la questione taiwanese non fosse risolta, per questo non lasceremo che altre forze internazionali interferiscano».

     

    Ora Trump ha interferito. E per cercare di capire le sue intenzioni ai cinesi al momento non resta altro che affidarsi ai consigli di Henry Kissinger: il vecchio architetto del disgelo Usa-Cina venerdì era a Pechino, a colloquio con Xi.

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