1 - LO SCONTRO SUL MES TRA PD E 5 STELLE I (TROPPI) CONFLITTI NELLA MAGGIORANZA
Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
RENZI CONTE
Sul Mes lo scontro nel governo è ormai visibile, sul resto le tensioni tra M5S e Pd stanno per deflagrare, perché - come ha confidato giorni fa Zingaretti - «la situazione è più disperata di quel che si vede». Sull' uso dello strumento finanziario europeo il segretario del Pd rende pubblica la posizione del suo partito anticipata la scorsa settimana da Franceschini a Conte, tra le urla di un vertice che è parso la premessa della crisi. È una linea rappresentata oggi da un vasto schieramento che accomuna Bersani e gli industriali, che unisce Prodi e Berlusconi, convinto a sganciarsi dagli alleati del centro-destra siccome «sarebbe oggi un clamoroso errore rinunciare al Mes senza condizionalità».
Il capodelegazione del Pd l' aveva già spiegato a un premier recalcitrante che «non potremo fare a meno di un prestito a tasso zero garantito dalla Bce», ché poi è la tesi sostenuta fin dall' inizio da Renzi, secondo cui «l' Italia dovrà usare ogni risorsa offerta dall' Europa per non finire sbranata sui mercati dagli squali».
Conte venerdì aveva resistito per tentare di non perdere i grillini al suo gabinetto, e ieri Di Maio ha usato le sue stesse parole per dire no al Mes e inchiodare il premier alle sue contraddizioni. Lo show-down nella maggioranza è già iniziato, per ufficializzarlo si attende «l' esito degli incontri» a Bruxelles, come ha sottolineato Zingaretti.
GIUSEPPE CONTE LUIGI DI MAIO
Ma le emergenze nazionali provocate dall' emergenza Covid-19 non si limitano ai problemi economici. E nel governo c' è la consapevolezza che il Paese non è pronto per la «fase due». Fonti qualificate raccontano che la task force guidata da Colao, appena insediata, è già finita «nelle sabbie mobili», se è vero che alle prime riunioni hanno partecipato anche «i capi gabinetto dei ministeri» come fossero vigilantes: «E se quelli del comitato non stanno attenti - ha commentato un autorevole ministro - gli staccano anche la linea del telefono».
Ma intanto le strutture pubbliche chiamate a gestire la crisi si rivelano afflitte da un virus che ne limita le capacità.
Bastano due esempi. Il Pd e un pezzo di M5S avevano messo in guardia l' Inps per le sue inefficienze, e quando il sistema ha fatto crack, i dem hanno glissato per carità di patria la difesa dell' istituto fatta da Conte, che aveva scaricato le colpe sugli hacker «facendo finta di dimenticare che lui ha la delega ai servizi segreti». C' è poi l' Anpal, che dovrebbe garantire le politiche attive, «ma che finora non ha fatto nulla», al punto che la pd Gribaudo in Parlamento ha chiesto formalmente la testa del presidente.
MATTEO RENZI GIUSEPPE CONTE
E ancora non è arrivata «la bufera», che nelle previsioni incrocerà la fine del lockdown e le ripresa delle attività produttive, con le tensioni crescenti tra istituzioni nazionali e locali che si accavalleranno alle esigenze diverse di imprese e sindacati, mentre gli istituti internazionali pronosticano per il 2020 un crollo del Pil italiano a cavallo della doppia cifra. Perciò ministri democratici e grillini sono consapevoli che «l' attuale governo non potrà reggere l' onda d' urto», anche perché «pure dal Colle si avvertono segnali di scollamento».
È chiaro che il nodo europeo sarà dirimente, ma il grumo di problemi irrisolti ha portato nei gruppi parlamentari del Pd la fibrillazione a un punto che Conte viene ormai vissuto come «il moderno rappresentante del cadornismo», il generale della disfatta di Caporetto: «Tipico tratto di una classe dirigente non all' altezza del momento storico, che accentra i poteri tranne poi scaricare le responsabilità». In questo contesto è surreale la baruffa che si è scatenata ieri in Vigilanza Rai sul ruolo dell' emittente pubblica.
nicola zingaretti giuseppe conte
Ed è tale la distanza tra Pd e 5S che nelle chat dem circola un tweet del renziano Faraone, secondo cui «il tg Uno è diventato il Giggiuno», con chiaro riferimento alle presenze televisive di Di Maio.
L' affaire-Mes potrebbe diventare il detonatore della crisi latente, anche perché «se il Mes verrà attivato - come ha scritto un dirigente grillino ai colleghi del Movimento - non sarà in mio nome. Ma in nome del governo Draghi».
2 - PRESSING DEL PD SU CONTE: «IL SALVA-STATI VA UTILIZZATO»
Marco Conti per “il Messaggero”
Giuseppe Conte ondeggia tra Mes sì e Mes no, la maggioranza si spacca e la posizione dell'Italia si indebolisce in vista del Consiglio Europeo del 23 aprile che dovrebbe offrire qualche certezza in più sul punto che più interessa l'Italia: Recovery bond. Tutto è nato quando, invece di intestarsi i cambiamenti che l'Eurogruppo ha apportato al Fondo salva-stati (Mes), il presidente del Consiglio ha scaricato in tv sulla coalizione di centrodestra che nel 2011 governava, la responsabilità del via libera al Fondo. Da lì in poi è partita quella che Emma Bonino definisce «polemiche demagogiche e idiote, tant'è che non c'è dibattito in alcun altro Paese su questo punto».
LA SVISTA
Paesi come Spagna e Portogallo, che vogliono come l'Italia la nascita degli eurobond, sul punto hanno preso le distanze da Roma e pensano di utilizzare tutto il pacchetto di misure che l'Europa sta mettendo a disposizione e che comprende le risorse della Bei per gli investimenti, il fondo Sure per la disoccupazione, il Mes senza condizionalità, per spese relativa ai danni diretti e indiretti prodotti dal Covid-19, e il Recovery found sul quale la trattativa è ancora in corso per definirne modalità e quantità. A breve il Parlamento Europeo voterà a favore dei quattro pilastri, compreso il Recovery Found2 «proposto per la prima volta dal gruppo Renew Europe», come sottolinea Sandro Gozi.
VITTORIO COLAO
Il M5S continua però a dirsi contrario all'utilizzo del Mes anche se non ne esplicita le ragioni se non quelle legate ad un sostanziale antieuropeismo di fondo dei grillini. Lo stesso che Conte ha fatto proprio quando ha sostenuto che l'Italia, se non ci saranno gli eurobond, farà da sola. Immaginare di farcela uscendo o facendo saltare la zona euro, o pensare di indossare una sorta di cintura esplosiva minacciando l'Unione di farsi saltare in aria, più che pericoloso è illusorio.
Dopo giorni di polemica sotto traccia, il Pd è uscito allo scoperto prima con il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Del Rio secondo il quale «tutti gli strumenti a disposizione debbono essere usati. Magari in futuro se non servono ora». E poi è sceso in campo anche il segretario del Pd Nicola Zingaretti che si è unito all'altro capogruppo del Pd Andrea Marcucci. «Se ci sarà garantita la nostra sovranità - ha sostenuto Zingaretti - e non ci saranno condizionalità credo che dovremo prenderle queste risorse, ci servono per gli ospedali, per la nostra sanità».
LA LINEA
Una posizione, quella del Pd, che esce allo scoperto e che si sovrappone a quella di Italia Viva. Da giorni Matteo Renzi e Luigi Marattin sostengono che sarebbe assurdo rinunciare a 36 miliardi, tanti nel Mes sono a disposizione dell'Italia, e a condizioni di mercato che farebbero risparmiare quasi un miliardo solo di interessi. Saranno state le catastrofiche stime del Fondo Monetario internazionale o lo spread che da giorni è ormai sempre sopra quota 200, a spingere il Pd ad uscire allo scoperto provocando però la reazione grillina. La prima ad uscire è Barbara Lezzi. L'ex ministra, componente della pattuglia più euroscettica del M5S, se la prende con Romano Prodi.
silvio berlusconi
Ma la Lezzi accusandolo di essere «un professore buono per tutte le stagioni» perchè avrebbe sostenuto prima un no e poi un sì al Mes, svela la posizione ideologica dei 5S sul Mes che si rifiuta di considerare i cambiamenti che sono stati apportati all'utilizzo del Fondo. Ad accentuare la spaccatura è anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: «Uso le parole di Conte: il Mes è uno strumento antiquato».
Una frase che conferma una sorta «preclusione ideologica», come la definisce la sottosegretaria Sandra Zampa, spinge Benedetto Della Vedova (+Europa) a chiedersi «se al governo c'è ancora Salvini» e rischia di mettere in difficoltà lo stesso Conte che quella frase dovrà spiegare qualora il governo deciderà di accedere a quella linea di credito così come chiede Confindustria. Lo scontro potrebbe arrivare in Parlamento quando Conte sarà chiamato, come tradizione, prima del Consiglio europeo e ci sarà da votare una mozione che ora i capigruppo cercano di scongiurare sostenendo che la riunione del 23 non è altro che il proseguimento di quella del 26 marzo.
matteo salvini giorgia meloni 2
A spaccarsi è però anche il centrodestra. «Non dobbiamo assolutamente dire di no a Mes», sostiene Silvio Berlusconi che a Di Martedì spiega anche che «adesso ci interessa di più aiutare Conte a non commettere gli errori che sta facendo, per esempio, sul Mes. L'errore sul Mes sarebbe quello, clamoroso, di dire all'Europa faremo da soli...».
Una linea opposta a quella sovranista ed anti-europea di Salvini, che ieri paragonato la Ue ad uno strozzino, ma anche a quella della Meloni che non vorrebbe che considera un errore anche il fatto di aver permesso che il Mes facesse parte degli strumenti messi a disposizione per affrontare la crisi.