di Annalisa Misceo per “Novella 2000”
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Undici anni di vestiti e scarpe firmate hanno prodotto solo 28.640 euro. Le intenzioni della top model Bianca Balti, che il 27 aprile a Milano ha messo in vendita la sua collezione di abiti e accessori raccolti in 11 anni di carriera per donarne il ricavato all’Agenzia Onu per i Rifugiati, erano ottime: «È un modo per donare ai rifugiati, portandosi a casa qualcosa di figo», aveva detto la stessa modella presentando l’iniziativa A piece of me for the refugees.
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E apparentemente la vendita (o meglio, svendita) è stata un successo: in centinaia si sono messe in coda per aggiudicarsi un paio di scarpe Louboutin o un cappottino firmato (anche perché i prezzi non erano esagerati: variavano tra i 5 e i 500 euro) e per farsi una foto con Bianca (alla modica cifra di 50 euro).
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Ma se «l’obiettivo era vendere il più possibile e raccogliere tanti soldi per aiutare le persone il più possibile vicino a casa loro», come ha spiegato la modella lodigiana in un’intervista a La Repubblica dopo le sei ore di vendita, il risultato sembra un po’ scarsino. Bianca ha spiegato che non voleva fare «una cosa d’elite» e aveva chiesto che a un certo punto della giornata i prezzi scendessero, per essere certa che tutto fosse venduto «perché mica sono cose che possiamo mandare nei campi profughi».
Ma forse – visto il suo seguito e ferme restando le sue buone intenzioni – sarebbe bastato mettere all’asta anche solo uno dei suoi capi più prestigiosi e avrebbe ottenuto almeno la metà della cifra con un pezzo solo, raccogliendo ancora di più per la causa.
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La storia delle case d’asta è piena di abiti celebri venduti per cifre da capogiro, basti pensare che nel dicembre 2015 l’abito di sposa di Margaret Thatcher era stato battuto da Christie’s, a Londra, per 25mila sterline (poco più di 32mila euro). Per non parlare delle aste in cui sono stati venduti vestiti di Audrey Hepburn o Liz Taylor e non certo per beneficenza.
Certo, come si dice, 28mila euro (che andranno interamente al programma Lifeline Jordan, a sostegno delle famiglie di rifugiati siriani che hanno trovato asilo in Giordania) non si buttano via, anzi. Ed è lodevole che dal cosiddetto “effimero mondo della moda” ci sia impegno per un problema davanti al quale nessuno può chiudere gli occhi.
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Ma si sa che proprio in quel mondo c’è chi non si fa scrupoli – anche perché ne ha le possibilità – a spendere migliaia di euro per un solo abito (basta fare una passeggiata in via Monte Napoleone, a Milano, per rendersene conto), magari per una volta poteva farlo per una buona causa.
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