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    LA TORINO DEI GIUSTI – UN FILM CHE INIZIA CON UNA MEZZA PIPPETTA FATTA DA OLIVIA COLMAN A COLIN FIRTH, CHE VORREBBE QUALCOSA IN PIÙ (“ME LO SUCCHI?", "NO”) È COMUNQUE UN GRAN DIVERTIMENTO. ANCHE SE QUESTO “EMPIRE OF LIGHT”, SCRITTO E DIRETTO DA SAM MENDES, SI RIVELA UN MISTO DI DOLENTE OMAGGIO AL CINEMA E ALLE SALE MERAVIGLIOSE CHE NON CI SONO PIÙ E UN RITRATTO DI UNA INGHILTERRA THATCHERIANA RAZZISTA E CATTIVA - GIRATO CON GRANDE ELEGANZA, MALGRADO LA PROVA DI OLIVIA COLMAN IL FILM NON RIESCE DAVVERO A COLPIRCI COME POTREBBE… - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Torino Film Festival. Un film che inizia con una mezza pippetta fatta da Olivia Colman, in versione cassiera di cinema, a Colin Firth, il direttore, che sul modello Renzo Montagnani vorrebbe qualcosa in più (“Me lo succhi?” – “No”) e prosegue con una sorta di monologo della stessa Colman all’anteprima di “Momenti di gloria” con un “Scopare o non scopare questo è il problema” è comunque un gran divertimento.

     

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    Anche se questo “Empire of Light”, scritto e diretto da un regista star come Sam Mendes che dovrebbe lanciare alla corsa agli Oscar almeno la protagonista Olivia Colman, bravissima, ovvio, un bel po’ massacrato dalla critica americana, si rivela poi un misto di dolente omaggio al cinema, al 35mm, ai proiezionisti coraggiosi, alle sale meravigliose che non ci sono più (quante lacrime stiamo versando… anche basta!) e un ritratto di una Inghilterra thatcheriana razzista e cattiva dove neri e donne sono trattati come cittadini di serie B.

     

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    E, alla fine, fra tanti personaggi benissimo interpretati ci interesse di più la storia del piccolo proiezionista Toby Jones, forse, di quella della complessa protagonista Olivia Colman. Siamo nel 1980, in una cittadina inglese della costa meridionale del Kent, Margate, dove il bellissimo cinema Empire domina il lungomare e vive già di una luce che fu. Figuriamoci adesso…

     

    Nel piccolo mondo dell’Empire il direttore Mr Ellis, Colin Firth, sposato con una donna che forse non lo ama più (“Non mi porta più il tè”), si fa qualche sveltina nel suo ufficio con la depressa cassiera Hilary, Olivia Colman, in cura da uno psicanalista che vuole farle prendere il litio. Magari sono queste brutte mezze scopate in piedi col direttore a farla stare male.

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    Così quando viene assunto un giovane e bellissimo nero del Trinidad, Stephan, interpretato da Michael Ward (“Small Axe”), che tutte si vorrebbero fare, le cose cambiano. Anche perché Stephan se la scopa proprio e Hilary ritrova tutta la sua vitalità umiliata dai maschi locali. Pure il proiezionista vede di buon occhio Stephan e gli insegna il suo mestiere. Ma sono tempi orrendi, fra la Thatcher e gli skinheads della zona.

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    Girato con grande eleganza da Mendes, con una fotografia di gran classe di Roger Deakins, le musiche di Trent Reznor e di Atticus Ross, come in “Bones and All”, una ambientazione, presumo vero, davvero magica, malgrado la grande prova di Olivia Colman il film non riesce davvero a colpirci come potrebbe. Forse perché prende di mira troppi bersagli. E infatti funziona di più nella prima parte, più comedy. E diventa un gran pasticcio dove ancora si piange sul cinema che non c’è più in sale del tutto vuote. Ma certo, a lei, un Oscaretto glielo potrebbero dare… Colin Firth ottimo per un biopic su Renzo Montagnani. E Toby Jones, ve l’ho detto, ruba la scena a tutti. Uscirà a febbraio.  

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