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    LA TOSCA PRENDE FORMA (GIO’) – DIETRO LE SCENOGRAFIE "CINEMATOGRAFICHE" DELL'OPERA DI PUCCINI ALLA SCALA, IL TRIO DI ARCHITETTI E DESIGNER: "L'ARCHITETTURA E' MUSICA FRIZZATA, CONGELATA NELL'ARIA" – IL BRACCIO MECCANICO DI 14 METRI E IL VOLO FINALE DI TOSCA - I SEGRETI DELL’ALBERO DELLA VITA DELL’EXPO 2015 E DEI TEATRI NEL DESERTO - DOPO AVER SEGUITO IL JOVA BEACH, PREPARANO PER LA PROSSIMA ESTATE I GIOCHI OLIMPICI E I PALCHI DI VASCO, CREMONINI E TIZIANO FERRO - VIDEO


     
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    Marina Cappa per “il Messaggero”

     

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    Il volo spiccato su Castel Sant'Angelo, Palazzo Farnese sdoppiato, la chiesa che si muove come la foresta di Macbeth: adesso che la Tosca diretta da Riccardo Chailly con la regia di Davide Livermore ha debuttato e prosegue le (già esaurite) repliche, proviamo a sbirciare i segreti di una scenografia cinematografica, come lo stesso Puccini la immaginava. La firma Giò Forma, tre cinquantenni: il tedesco Florian Boje, la collega e moglie Cristiana Picco, il toscano Claudio Santucci. Il compito che si danno è vasto: costruire un mondo intorno a un'idea o «trovare la melodia che tiene insieme tutto».

     

    COMPLESSITÀ

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    La melodia di Tosca è l'azione continua, ed è una sfida partita solo a settembre. «Ogni atto dice Picco aveva la sua complessità. Nel primo si trattava di muovere la chiesa diventata labirinto, un gabinetto delle meraviglie degli stati d'animo di Tosca. Abbiamo studiato ogni elemento e inserito contaminazioni, dal manierismo al razionalismo». Perché, parola di Florian, «l'architettura è musica frizzata, surgelata nell'aria: tu cammini per strada e incroci, affiancate, tante epoche diverse».

     

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    Una curiosità del secondo atto è dedicata ai loggionisti: molto meglio di chi era in platea, dall'alto hanno potuto ammirare lo specchio per terra che «riflette e fa galleggiare la stanza per dare una sospensione della storia». Quanto al volo finale, Giò Forma ha studiato il braccio meccanico di 14 metri che esce quando l'ala sprofonda, dotato di un sedile per far uscire e galleggiare la controfigura di Tosca.

     

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    Ma anche sui dettagli hanno lavorato: dal carcadè bevuto dai cantanti al posto del vino, ugualmente rosso, ai candelabri imbottiti di gomma perché non si spezzassero una volta lanciati per terra, dal mobilio antisfondamento per sopravvivere all'ira di Scarpia alle candele di una cera speciale che non si consumi in fretta e non rischi di bruciacchiare gli interpreti. Con qualche paura: «Per cantare sotto un soffitto sospeso di 4.000 chili ci vuole coraggio, come è difficile salire la scala che si muove o recitare sulla pedana girevole, avevamo anche il terrore che con lo specchio per terra qualcuno scivolasse», dice Cristiana.

     

    albero della vita expo by balich albero della vita expo by balich

    Adesso che la prima è andata, Giò Forma non ha concluso. Per le Olimpiadi, Tosca arriverà in Giappone, con tutti gli elementi scenografici smontati in casse di massimo 2,4 metri, e dovrà lavorare su spazi teatrali ridotti. E intanto altre opere allestite dallo studio gireranno il mondo: l'Attila che l'anno scorso inaugurò la Scala sarà a Sydney, a marzo arriverà a Marsiglia Manon Lescaut, al Maggio Fiorentino il Ballo in maschera, mentre in novembre l'attende la Gioconda di Ponchielli.

     

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    Non di sola opera però lavorano i tre. Dopo aver seguito il Jova Beach, preparano l'estate in festival di Vasco Rossi e i tour negli stadi di Cesare Cremonini e Tiziano Ferro: disegneranno il palco e cureranno la direzione artistica, coordinando tutte le parti dello show compresi movimenti dell'artista. «In tempi brevissimi, devi montare, smontare e spostare, e ogni volta il risultato deve essere uguale. Mentre per il Jova Beach, dove ogni volta cambiava la location, le difficoltà sono state enormi, e però le emozioni speciali, fra la sabbia e il mare», ricorda Santucci.

     

     

    LA SALA

    La sabbia è un elemento ricorrente nei progetti di Giò Forma. Il principale adesso, spiega Florian, è il Maraya Concert Hall, sala teatrale in Arabia Saudita. «Maraya significa specchio, riflesso. Quando abbiamo visto il posto in cui dovevamo edificare ho pensato che è così bello che sarebbe stato meglio non fare niente. In alternativa, abbiamo costruito un cubo di specchio, che riflette la natura circostante e noi stessi». Dietro il teatro, il fondale si potrà completamente aprire sulle dune circostanti, con possibilità sceniche enormi.

     

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    Alla Scala come nel deserto, il leitmotiv è «noi progettiamo concetti, non architettura fine a se stessa». E se per Giò Forma «tutto è palco», i palchi possono essere l'Albero della vita di Expo come lo zoetrope di lasagne disegnato per Esselunga, o il terminal dell'aeroporto di Al Ula in Arabia su cui stanno lavorando.

     

    specchi concert hall scalo di al ula specchi concert hall scalo di al ula

    «Da tedesco dico che l'Italia non è stata valorizzata abbastanza», si accalora Florian. E conclude con un sogno: «Per la lirica il 7 dicembre è come l'Oscar a Los Angeles. Perciò, vorremmo una mostra che girasse tanti Paesi e poi per le Olimpiadi 2026 trovasse casa a Milano. Non una mostra didascalica, ma un'esperienza dove vieni affascinato dal suono, dalla scenografia, dalle storie, per raccontare il mondo attraverso l'opera e le sue professioni».

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