MATTEO SALVINI LUIGI DI MAIO
Estratti dall’articolo di Sebastiano Messina per ‘la Repubblica’
(…) Di Maio e Mattarella, (…) [l]o stesso presidente che lo aveva ascoltato, consigliato e persino guidato nell'insidioso labirinto di una crisi che appariva senza soluzione, lo stesso presidente del quale Di Maio diceva, dopo l'incarico a Conte, "è stato garante rispettoso della nostra Costituzione, e per questo lo ringraziamo", due giorni dopo - appena l'incaricato ha rinunciato - è diventato un traditore della Carta, un presidente da mettere subito in stato d'accusa, come Nixon e come Leone: "Impeachment!".
giuseppe conte luigi di maio foto lapresse
Perché? Perché si era rifiutato di firmare la nomina di Savona all'Economia. Esercitando quel potere costituzionale che lo stesso Di Maio gli aveva riconosciuto il 23 maggio: "I ministri li sceglie il presidente della Repubblica". Ma 48 ore dopo il leader pentastellato non la pensava più così, e lo considerava "un atto ignobile" così grave da chiedere al Parlamento di processare il capo dello Stato.
Eppure, passati altri due giorni, scoprendo che nessuno lo seguiva, l'ex candidato premier da lupo si è trasformato in agnello, ha annunciato in piazza che l'impeachment era "un'ipotesi non più sul tavolo", (…) "Siamo pronti a collaborare con il presidente della Repubblica".
luigi di maio a dimartedi
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Una figuraccia ai limiti del ridicolo, alla quale si è aggiunta la mortificante smentita che il giovane e ambiziosissimo successore di Grillo al timone dei Cinquestelle ha dovuto subire sulla ricostruzione del "caso Savona". Con l'aria di uno che smaschera la slealtà di un presidente, lui ha raccontato a Barbara D'Urso un "retroscena segreto", rivelando che al Quirinale lui aveva "fatto arrivare nomi alternativi a Savona, come Bagnai o Siri, ma non andavano bene perché nel loro passato avevano espresso posizioni critiche sull'Ue", e dunque non piacevano "alle agenzie di rating e alla Merkel". Retroscena assai gustoso, se non fosse stato smentito, al di là di ogni ragionevole dubbio, proprio dal Quirinale (e dai verbali delle consultazioni).
MATTARELLA E LUIGI DI MAIO
Poteva bastare, ma ieri si è scoperto che Di Maio non aveva detto la verità neanche sul professor Savona. "L'ho conosciuto dieci giorni fa - aveva detto - insieme a Salvini. E lui ci ha detto: faccio il ministro a patto che non si esca dall'euro". Doveva essere la prova regina. E invece è spuntato un video del 2016 - aveva ragione Casaleggio: la rete non perdona - nel quale lo stesso Savona raccontava candidamente: "Ho avuto un lungo colloquio con Di Maio e gli ho detto: qual è la tua risposta? Mi ha detto: "Niente, dobbiamo uscire dall'euro". Certo, sono il primo ad averlo detto...".
luigi di maio sergio mattarella
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"Abbiamo vinto, ora tocca a noi" annunciò la sera del 4 marzo, lasciando credere di avere un astutissimo piano segreto per conquistare Palazzo Chigi. E invece, dopo il flirt con Salvini sulle poltrone delle due Camere, ha cominciato a fare la spola tra Lega e Pd, rivendicando col suo sorriso da guaglione scaltro la politica dei due forni (che nella Prima Repubblica era un insulto) portandosi in tasca un "contratto di governo" con gli spazi per i nomi lasciati in bianco. E prima ha rotto con Salvini ("Oggi dico ufficialmente che qualsiasi discorso con la Lega si chiude qui", 24 aprile) e poi con il Pd ("Con loro non voglio mai più averci a che fare").
Così è tornato con il leghista, riuscendo faticosamente a fargli firmare il contratto per un governo che però quello non vuole più fare. E allora Di Maio, che un mese fa avvertiva "O facciamo l'intesa col Pd o si torna al voto", il pomeriggio dell'altro ieri invocava "elezioni subito", ma la sera stessa diceva il contrario: "Una maggioranza c'è, fatelo partire quel governo". Votiamo immediatamente, dunque. Oppure voi richiamate Conte e noi sostituiamo Savona. Oppure si vota in autunno. Oppure...
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