Quasi un milione di spettatori per #TORtraviata!
#CarloFuortes: "I teatri chiusi ci obbligano a lavorare su nuove forme espressive e questo allestimento della Traviata, così apprezzato dal pubblico, ne è un esempio emblematico" #operaromahttps://t.co/Fs5vLbqpNt pic.twitter.com/b1e244EsUP
— Opera di Roma (@OperaRoma) April 10, 2021
Leonetta Bentivoglio per “la Repubblica”
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Traviata al tempo della pandemia, nella visione di Mario Martone, è un teatro senza pubblico, dove la platea vuota (sparite pure le poltrone), insieme al palcoscenico e alla buca dell' orchestra, è tradotta nell' arena di una storia sconvolgente d' amore e morte. I tre piani spaziali s' intrecciano col dinamismo dei corpi e la magia delle voci, tra luci cangianti ed espressive che immettono il senso del film nel melodramma, il quale diventa cinema nella narrazione dai ritmi serrati (tolti gli stacchi fra i tre atti), negli arditi movimenti di macchina e nelle inquadrature ricercate.
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Cattura in pieno il film-opera di Martone andato in onda ieri sera su Rai 3 (e ora disponibile su RaiPlay), coprodotto dall' Opera di Roma e Rai Cultura. Trasmette un messaggio: anche se i teatri sono chiusi, anche se l' arte per ora ci ha lasciato, esiste la bellezza. Esiste la necessità di rituffarci nel nostro gigantesco tesoro di cultura, da riscoprire all' infinito.
E il patrimonio include questa musica altissima di Verdi, interpretata con fedeltà e passione da Daniele Gatti sul podio dell' orchestra dell' Opera di Roma, che mette in campo pure il coro e la compagnia di ballo. Ci sarà sempre un modo nuovo per dirci il destino di Violetta, la prostituta spedita in paradiso dal compositore molto spregiudicato (al moroso Alfredo l' eroina, agonizzante, promette che lo sorveglierà da lassù, "nel ciel, tra gli angeli").
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Ma senza una protagonista che non sia davvero "Traviata", creatura impervia vocalmente e attorialmente, una bella Traviata non si sarebbe potuta fare. Con Lisette Oropesa, pura nella voce e generosa nella recitazione, Traviata identifica sé stessa. Accanto a lei ci sono due interpreti di buon calibro quali Saimir Pirgu (Alfredo) e Roberto Frontali (Germont padre). Però è Lisette la catalizzatrice. Primadonna sensualissima nel primo atto, con calze a righe e favoloso décolleté.
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"Croce e delizia" per Alfredo, cotto senza scampo. Amazzone dominante nel secondo atto, con gilet di cuoio da cacciatrice. Delirio di tristezza nel terzo, quando scivola nel suo male. Fragile, cerea, santificata.
Colpiscono le idee registiche a raffica. Forse la principale sta nell' uso peculiare dei luoghi, che oltre alla platea e al pacoscenico sono i foyer, le scale interne e i palchi del teatro. Si scorgono esterni quali le Terme di Carcalla, quando Alfredo dalla campagna torna a Parigi, come se quello fosse il panorama del suo viaggio in carrozza, e un pezzo di strada romana vicina all' Opera, con automobili sullo sfondo, per rammentarci che l' arte è atemporale, e non importa se lo spettatore si rende conto che, nonostante i fastosi costumi ottocenteschi, le riprese sono state realizzate oggi.
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L'opulenza e decadenza della festa a casa di Flora ricorda le scene più viziose di Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick, e l' azione verte su due poli concreti: il vasto letto dell' eros e della morte, in palcoscenico, contenitore dei peccati di Violetta (il cumulo di cappotti dei suoi amanti lo ricopre a tratti), e poi meta finale della sua agonia; e l' enorme tavolo collocato nella platea svuotata.
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Quest' ultimo è focus dell' ebbrezza collettiva (champagne a fiumi), pista da ballo per le frenesie edoniste, tavolo da gioco Serve le situazioni collettive, mentre il letto è funzionale ai momenti intimistici. L' immenso lampadario dell' Opera è onnipresente e vistoso. Un macigno di luminarie. Come il fato. Nel saluto conclusivo tra Violetta e Alfredo lei sta nel palco reale, mentre lui è sotto, trepidante e lontano. Si pensa alla scena del balcone di Romeo e Giuletta. Violetta spira, pallida e stupenda. Non è fra le sue braccia, come nelle altre regie. Stavolta muore sola.
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