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    TRA LE GUIDE DI ROMA, VA MESSO IL ROMANZO “DORMIREMO DA VECCHI” DI PINO CORRIAS – FORMIDABILE PER CAPIRE IL PASSAGGIO ALLA “TRUCE VITA” DI UN MONDO TELE-CINEMATOGRAFARO CHE TI RUTTA IN FACCIA L’ALITO CATTIVO DEL DENARO OSCURO E L’ARROGANZA DELL’ALCOL E DELLA COCAINA


     
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    LA COPERTINA DEL NUOVO LIBRO DI PINO CORRIAS LA COPERTINA DEL NUOVO LIBRO DI PINO CORRIAS

    Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”

     

    Si diceva tanto tempo fa a Roma di certi, pure allora assai coloriti personaggi: «È un cinematografaro». Un po’ come “palazzinaro” quella degradante e preliminare designazione comportava una conveniente dose di diffidenza.

     

    A ripensarci oggi, era anche un modo istintivo che il genius loci della città eterna aveva inventato e messo in circolo per tenersi a debita distanza e scongiurare proprio il genere di impicci e poi di guai che danno vita e allegria ed euforia, ma anche cenere e malinconia a questo romanzo di Pino Corrias, Dormiremo da vecchi (Chiarelettere, pagg. 249, euro 16,90).

     

    Oscar Martello, lo strabordante e fantastico protagonista, campione di cinismo e di vitalità, di mediocri successi e di copiosi guadagni illegali, si definisce “produttore”. In realtà è l’evoluzione selvaggia, per certi versi terminale, del “cinematografaro”. Come tale si crogiola nella perdizione: super reggia sull’Aventino, sigaroni Cohiba, yacht, società anonime, beneficenza e un sacco di cocaina, il cui smercio nell’ambiente della “dolceRoma” è alla base del suo iniziale slancio. Vive comunque a scapito di tutti, alcuni schiavizza, altri cannibalizza, altri e altre ancora consuma come fazzoletti di carta per poi buttarli via con un sovrappiù di ferocia.

     

    pino corrias pino corrias

    È fatto così: «Io rubo e la chiamo economia reale, la chiamo adrenalina e gioia di vivere ». Megalomane, furbissimo e cialtrone, gioiosamente e colpevolmente scambia i nomi di persone ed opere. Coltiva il sogno infantile di comprarsi Cinecittà. Parla una lingua mista fra Dagospia, Charles Bukowski e quella sincopata degli sceneggiati televisivi anni Novanta.

     

    Attorno a lui brulica quel genere di umanità che dai tempi del Satyricon non è che sia poi molto cambiata. «Politici pieni di testosterone, figli buoni a nulla dediti al body building, squali con dentature da commercialista, giovani ereditiere con l’alito cattivo, avvocati della Locride carichi di forfora e di contanti, vedove con rughe, rubini e isterici Jack Russel che pisciavano sui divani».

    cinecittà cinecittà

     

    La trama. C’è un film di cassetta sulla mafia venuto male e cui restano appese, con le loro magagne e i loro capricci, diverse persone, oltre i guadagni dell’avido e ingegnosissimo Martello. Per rilanciarlo, questi mette su un dispositivo infernale, di cronaca nera, che spintona, forza e alla fine cerca disperatamente di violentare la realtà lungo l’asse Roma-Parigi. E però... Giornalista, dirigente Rai, autore di fiction, Corrias si è certamente divertito a scrivere, cosa della quale chi legge gli è senz’altro grato. Sennonché l’autore risulta anche, ormai più di vent’anni orsono, non dimenticato biografo del profeta della società dello spettacolo Guy Debord.

     

    invitata al gran gala della liberazione di roma invitata al gran gala della liberazione di roma

    Ragion per cui, al di là dei tristi e variopinti figuri della narrazione, ben oltre i segreti di quella “carne umana sparpagliata sui divani”, dietro la più avventata e capitolina promiscuità di monsignori e metanfetamine, tatuaggi e pixel, youporn e speciali coltelli giapponesi da sushi, ecco, pare di cogliere in tutta questa storia un senso terribile di vuoto, come solo produce e mette in scena il Grande Inganno della falsificazione, una volta uccisa ogni autenticità.

    invitata al gran gala della liberazione di roma (10) invitata al gran gala della liberazione di roma (10)

     

    Restano impresse due feste rimarchevoli, una a Sabaudia, l’altra a casa Martello. Poi un uragano e infine un rogo. Chissà quando e con quanta avventata libertà i romani – scettici o perbene che fossero – hanno smesso di nominare, per la loro sicurezza, la figura del “cinematografaro”. Certo è stata un’omissione a suo modo apocalittica. Lo spettacolo aveva succhiato l’anima al mondo, e se pure gliela restituisce dopo mezzo secolo e più, è comunque troppo tardi.

     

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