DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
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Marco Giusti per Dagospia
Che delusione questo “Pearl” di Ti West, prequel che aspettavamo tutti con il massimo di interesse di un piccolo horror della A24, società produttrice di “Euphoria”, che qualche mese fa aveva fatto davvero una grande impressione a tutti i fan del genere, “X – A Sexy Horror Story”, sempre di Ti West e sempre con Mia Groth come protagonista in ben due ruoli.
MIA GOTH TI WEST - PHOTOCALL PEARL
E dire che ieri sera a mezzanotte il pubblico di ragazzi sotto i trent’anni che hanno riempito festosamente la Sala Grande, hanno salutato e applaudito Ti West e la sua bionda musa Mia Groth come fossero delle divinità del nuovo cinema horror. Dimostrando che esiste eccome un pubblico più giovane pronto a svecchiare un festival che punta un filo troppo sull’usato sicuro da festival e davvero molto poco sui generi.
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“Pearl”, scritto da Ti West proprio con la sua protagonista Mia Groth, penso di essere il solo a sapere che sua nonna, Maria Galdys, è stata una star del Cinema Novo brasiliano, girato negli stessi identici set di “X”, la fattoria sperduta dove i due vecchi padroni fuori di testa, Howard e Pearl, massacreranno tutti i componenti di una troupe di porno negli anni ’80, ci riporta indietro nel tempo al 1918, in un’America sconvolta dalla guerra e dalla Spagnola.
Allora la giovane Pearl, sposata con Howard che è partito per la guerra e deve tornare, vive con la durissima mamma tedesca, Emma Jenkins-Puro, e un padre sulla sedia a rotelle ridotto a uno zombie. E sogna di diventare ballerina nel mondo del cinema e lasciare per sempre una cittadina che le sta stretta e la vita di campagna che detesta. Dopo essersi scopata uno spaventapasseri si scopa il bel proiezionista, David Corensweet, dell’unico cinema del paese.
E da lì inizia la follia della ragazza e i suoi modi spicci di trattare con il prossimo usando il grande alligatore del fiume come bidone aspiratutto. Noioso, lungo, senza ritmo e senza invenzioni, “Pearl” è privo di tutti quegli elementi che avevano fatto di “X” un film di culto.
Non c’è sesso, se non nei filmini porno che il proiezionista fa vedere a Pearl, non c’è sviluppo dei personaggi, perchè non ci sono personaggi, non c’è tensione da horror perché è tutto così telefonato. Il film sembra davvero fatto con gli scarti di pellicola (però è pellicola, almeno…) di “X”, risparmiando su set, costumi e alligatore. Per di più Mia Groth si scrive un interminabile monologo finale che dovrebbe chiarirci la sua follia, ma che alle due di notte ci stende inesorabilmente.
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L’idea di cinema classico applicata all’horror non funziona, né il tentativo di buttarla sulla commistione tra porno e slasher. Il pubblico arrivato fin lì per salutare Ti West e la nuova divinità dell’orrore internazionale ha applaudito comunque, ma la delusione era tangibile.
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