Marco Giusti per Dagospia
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Finalmente si ragiona. Ci voleva il vecchio Harmony Korine, il regista di “Gummo” e di “Spring Breakers” e il suo mago degli effetti visivi, Joao Rosa, per svegliare il festival nel suo torpore. Lo fanno con un film duro, cattivo, sperimentale, supermusicato, “Baby Invasion”, presentato Fuori Concorso a mezzanotte, sorta di terribile videogioco, almeno così appare visivamente, dove vediamo una gang di killer, tutti con il volto deformato da bambini, che entrano nelle case dei ricchi, e uccidono e rubano a man bassa. Sulla sinistra dello schermo scorrono i messaggi dei giocatori, in alto a destra una sorta di misterioso skull-face che ha organizzato il massacro.
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I civili muoiono in un bagno di sangue lasciando monetine da raccogliere come ai tempi di Supermario. Su tutto, per un’ora e venti minuti, domina la musica techno di Burial e una voce che ripete un po’ meccanicamente una sorta di storia che non sembra aver molto a che fare con quel vediamo.
All’inizio e alla fine sentiamo l’intervista di una persona che giocava a “Baby Invasion” e lo ha vissuto come una dipendenza. Più o meno siamo dalle stesse parti ultra-sperimentali del film precedente, e un po’ più incomprensibile, “Aggro Dr1ft”, ma era quasi video-arte,che Korine presentò un anno fa sempre a Venezia, sempre prodotto col suo collettivo di Miami EDGLRD, gli effetti speciali visivi di Joao Rosa e lì con la musica degli AarabMuzik e la presenza di Travis Scott.
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Anche in quel caso Korine, con una serie di telecamere riprendeva l’azione, la storia, e poi rielaborava le immagini. Lì gli effetti erano costruiti sui calori del corpo, qui sui videogiochi. Ma il tutto è estremamente realistico e violento come in un videogioco sparaduro. Morti su morti. Ma, rispetto a “Aggro Dr1ft”, mi sembra che la narrazione qui funzioni molto più linearmente e il film, malgrado il tema terrificante, diventi un puro piacere visivo.
Ugualmente sperimentale, e non sarà facile farlo girare neille sale o sulle piattaforme, il complicatissimo film a passo uno che i celebrati Quay Brothers,cioè Stephen e Timothy Quay, geni dell’animazione a passo uno hanno completato dopo 19 anni di lavorazione, “Sanatorium Under the Signs of the Hourglass”, parlato in polacco in quanto tratto dai racconti di Bruno Schulz , geniale autore anche di “Le botteghe color cannella”, da tempo diventati un classico della letteratura europea. E mischiato alla sua storia.
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Se non era facile già il testo di Bruno Schulz, che morì, senza che il corpo venisse mai ritrovato, nel 1942, ucciso dai nazisti in quanto ebreo galiziano, è ancor più complesso vederlo trasformato in un’opera dei Quay Brothers, che mischiano qualche ripresa dal vivo a una ricerca visiva strepitosa per raccontare una sorta di viaggio nel passato e nella follia del personaggio e delle sue storie.
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Hanno detto che si sono innamorati di Schulz e della cultura polacca del tempo nel 1970. E da allora non hanno fatto altro che approfondire la loro ricerca, andando a cercare il suo spirito nella cittadina di Drohobycz, dove era nato e dove è stato ucciso. Lo stesso film è dedicato al “J”, la donna amata dallo scrittore, Józefina Szelinska. In questi 19 anni i fratelli Quay hanno anche fatto altro, penso soprattutto per sopravvivere, hanno soprattutto montato e rimontato il loro film, le loro macchine che fanno muovere a passo uno, i loro personaggi. Bellissimo. Da vedere con calma.