Marco Giusti per Dagospia
nomadland
Venezia77. Ma che ve state a inventà? Come avrebbe detto Tomas Milian ai critici italiani stizziti per i premi della Giuria capitanata da Cate Blanchett. Lo sapevamo da subito che a Venezia avrebbe vinto “Nomadland” di Chloé Zhao con Frances MacDormand, che hanno inviato una divertente clip di loro due on the road con le ciavatte in primo piano, cosa che avrebbe fatto inorridire l'ex-presidente Baratta (Cicutto è più moderno).
Risponde perfettamente, come tanti altri film premiati, con protagonista donna e regista asiatica-americana, alle nuove regole di inclusione degli Oscar. Ciavatte comprese. E agli Oscar finirà, ci scommetto. E ci finirà di corsa anche “One Night in Miami” di Regina King, donna e nera, che non ha vinto nulla perché fuori concorso (ma perché?).
chloe zhao
Come sapevamo da subito che una giuria di questo tipo, poco addentro agli affari italiani, dove l’unico paladino italiano era lo scrittore barese (lo dico per i salviniani) Nicola Lagioia, avrebbe premiato la nuova reginetta del cinema internazionale Vanessa Kirby, inglese e bravissima, miglior attrice per “Pieces of a Woman” di Kornei Mundruczo, prodotto e presentato da Martin Scorsese, che ho perso due volte in sala per le nuove regole tassative veneziane ("se entra, si siede non al suo posto e mi infetta qualcuno?"...), ma che in tanti mi hanno detto essere un polpettone lacrimoso.
Io l’ho adorata in “The World To Come” di Mona Fastvold, altro film tutto al femminile, ma lì forse avrebbe dovuto dividere il premio con Katrin Waterston, la co-protagonista della storia d’amore. Strano che non l’abbiano premiato, inoltre, visto che è un piccolo miracolo di produzione, girato in 16mm in 24 giorni nelle foreste rumene dove è stato ricostruito il quasi-west come ai tempi degli spaghetti western.
regina king
Vincono i due premi maggiori, dietro “Nomadland”, due registi paladini del cinema cinefilo moderno da festival, il messicano Michel Franco con “New Order”, Gran Premio della Giuria, e il giapponese Kiyoshi Kurosawa con “Wife of a Spy”, miglior regia, non capiti dalla critica italiana, poracci… ho letto tali sciocchezze su questi film e ho letto tante interviste a Elisabetta Sgarbi e a Elisa Fuksas (ma perché?). Giustamente, ha vinto la miglior sceneggiatura, oltre che il premio Fipresci, il bellissimo film indiano “The Disciple” di Chatanya Tamhane, pupillo di Alfonso Cuaron, ma si meritava il premio totalmente. Vallo affà (questa è per i giovani registi italiani maschi...).
favino
Il Premio Speciale della Giuria va invece a Andrei Konchalovsky che a 80 anni è in grado di dirigere un film così complesso come “Dear Comrades”, magari un o' stalinista e putiniano ma solida come un film di Blasetti. Avrebbe dovuto vincere il raccomandato di ferro Amos Gitai che ogni anno porta lo stesso film a Venezia da trent’anni?
PIERFRANCESCO FAVINO VINCE LA COPPA VOLPI
Konchalovsky è uno dei pochi grandi registi internazionali rimasti, non scherziamo. L’Italia, come saprete già, si deve accontentare della Coppa Volpi come miglior attore a Pier Francesco Favino per “Padrenostro” di Claudio Noce, che non è un film riuscitissimo, può vantare un endorsement non gradito di Salvini sul tappeto rosso, ma ha molti elementi interessanti (a parte il finale che va da tutte le parti…).
favino
Certo, a ben vedere, Favino non è neanche protagonista, e inoltre, ahi!, è l’unico film che non è prodotto da Rai Cinema che si è impegnata davvero tanto sulla costruzione di questo festival. Nulla a Gianfranco Rosi per “Notturno”, e questo mi dispiace perché è un film bellissimo e difficile, ma ha diviso il pubblico. C’è, anche tra i critici italiani, chi lo ha ritenuto “falso”, “messo in scena”, ha ritirato in scena le accuse di Jacques Rivette al celebre carrello di "Kapò" di Pontecorvo (un effetto "volgare" per farci piangere...) non capendo che non è propriamente un documentario, ma un film dove Rosi vuole farti vedere esattamente le cose che vedi. Ma questa divisione si deve essere ripetuta anche tra i giurati, presumo.
padrenostro 7
Rosi ha vinto talmente tanto negli anni passati che può andare oltre, diciamo, ma è un peccato, al di là dei premi, che il film non sia stato capito. Perché le accuse sono davvero ingiustificate a un regista che ha passato tre anni in una zona di guerra per cercare di capire e farci capire.
Nulla a “Miss Marx” di Susanna Nicchiarelli, che non è affatto male, ma che i film al femminile di Mona Fastvold e di Chloé Zhao hanno rapidamente oscurato. Nulla a Emma Dante per “Le sorelle Macaluso”, e lì avrà pesato temo una costruzione più passionale che razionale dell’opera teatrale della stessa Dante. L’uso eccessivo di Satie non avrà aiutato. Ma soprattutto l’arrivo di un film femminile forte e vitale come “Nomadland” l’avrà asfaltato nello sguardo dei giurati. Purtroppo era inevitabile. Esattamente come per la Nicchiarelli.
notturno di gianfranco rosi
Ottimi i premi di Orizzonti dove la giuria era presieduta da Claire Denis, “The Wasteland” dell’iraniano Ahmad Bahrami miglior film, miglior regia a Lav Diaz per “Genus Pan”, Premio della Giuria, oltre che premio Opera Prima, a “Listen” di Ana Rocha de Sousa, che ha pianto ogni volta che è salita, premiati i miei attori preferiti, la stupenda cantante marocchina Khansa Batma di “Zanka Contact” di Ismaeil El Iraki e il siriano Yahya Mahayni che si fa tatuare la pelle da un artista per diventare opera d’arte e scappare dal Medio Oriente in “The Man Who Sold His Skin” di Kaouther Ben Hania.
notturno di gianfranco rosi
Ma il premio che dovrebbe rallegrarci maggiormente e farci smettere con le solite lamentele sul mondo cattivo dei festival, è quello a Pietro Castellitto per la migliore sceneggiatura del suo “I predatori”. E’ un premio importante, consegnato da Claire Denis, per un film scritto con intelligenza che lancia davvero un nuovo talento, come attore-regista-sceneggiatore in un cinema, il nostro, dove i film, “Favolacce” compreso, non sono scritti così bene e con questa attenzione.
E’ un buon punto da dove ricominciare. In generale, se è vero che il cinema diretto dalle donne ha fornito a questa Venezia77, soprattutto per il Concorso, la sua ossatura, erano tanti titoli e in gran parte buoni, la giuria presieduta da Cate Blanchett, a parte il premio a “Nomadland” di Chloé Zhao, ha cercato di non essere così schierata sul femminile, premiando film e tematiche completamente diverse.
susanna nicchiarelli
La verità e questo spiega anche il premio a Favino, è che non c’erano ruoli maschile forti nel concorso. Certo se pensiamo alla performance incredibile di Jim Broadbent i n “The Duke”, fuori concorso… Credo, insomma, che avesse uno dei pochi ruoli possibili maschili in evidenza. Inoltre un premio al cinema italiano andava dato. Rosi avrebbe salvato un po’ tutti, suppongo. Ma non deve essere davvero piaciuto. E mi dispiace. Non è stato un festival facile per nessuno, alla fine. Difficile da seguire già negli spostamenti, non parliamo nella concentrazione.
Ma i film, anche se mancavano i titoli di Netflix e un po’ di americani che in altri tempi avrebbero fatto la differenza, erano generalmente buoni o molto buoni. Con il buco delle grandi produzioni sono entrati molti film mediorientali o africani, ad esempio, che però avevano molto da dire. Soprattutto rispetto al nostro cinema che, Rosi e Castellitto a parte, non ci sembra essere in forma smagliante.
miss marx
Non so se con “Tre piani” di Nanni Moretti, che ha scelto di spostarsi verso Berlino o Cannes 2021, le cose sarebbero andate diversamente. Magari sarebbe finito tra le vecchie glorie come Konchalovsky , mentre Chloé Zhao, Mona Fastvold, Michel Franco, Gianfranco Rosi giocano ormai in serie A.
pietro castellitto
Detto questo, diciamo che Barbera ha vinto la sua scommessa, il festival, anche se mi ha molto spaventato non tanto la durezza dei controlli nella Zona Rossa del Palazzo, quanto la disinvoltura di Zaia e Brugnaro nel riempimento eccessivo dei vaporetti e degli autobus, andava fatto.
Esternamente, a leggere i giornali americani, è un successo che apre a Toronto, al London Film Festival e a tutta una serie di festival dove si dovrà convivere col virus se vogliamo mandare avanti un’industria. I premi, alla fine, erano davvero secondari. E ora vediamo chi vorrà vedere questi film, premiati o meno, al cinema.
miss marx ROBERTO CICUTTO ALBERTO BARBERA pietro castellitto i predatori