Marco Giusti per Dagospia
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Credo che sia giusto l’uso delle quote rose nei festival, grandi e piccoli che siano. E’ il solo modo per dare alle registe donne le stesse opportunità che da un secolo hanno solo i registi maschi. Solo che non sempre i film scelti soprattutto perché diretti da donne sono dei grandi film.
E’ il caso, temo, di questa confusa e poco concludente “The Lost Daughter”, tradotto da noi “La figlia oscura”, opera prima di Maggie Gyllenhall, un’attrice sensibile e mai banale, tratto da un romanzo di Elena Ferrante di quasi vent’anni fa, finito in concorso ma non proprio da concorso. L’idea era quella di realizzare un film d’autore all’europea, una sorta di giallo psicologico dove non accade nulla di significativo, ahimé, che alterna un presente vacanziero forse minaccioso a un passato da chiarire forse ancora più minaccioso.
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Ma prima della fine, lo spettatore medio avrà già mollato il film. Al centro della storia il personaggio di una professoressa inglese quasi cinquantenne di letteratura comparante, Olivia Colman, alle prese con una maternità vissuta con fatica, piena di sensi di colpa che rilegge nei meccanismi che dominano una serie di personaggi che osserva sulla spiaggia un po’ sfigata di un’isola greca (con tutte le belle spiagge che hanno, boh…).
Pensato in un primo tempo dalla Gyllenhall per un’ambientazione americana in New Jersey, che, causa Covid, spostata poi nella più praticabile Grecia con una troupe ristrettissima di attori amici, Ed Harris, Dakota Johnson, Alba Rohrwacher, Peter Sarsgaard, marito della regista, girato senza grandi attenzioni, il film funziona più nella costruzione non scontata del personaggio principale, che la Colman divide con la più giovane Jessie Buckley nei flashback, che nella stesura narrativa quasi da thriller.
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Anche perché il tono da mistero della parte iniziale non trova modo di crescere con una messa in scena volonterosa, ma non così funzionante. Il cast, pur di prestigio, non è utilizzato al meglio. Ed Harris embra un vecchio caratterista italiano, Dakota Johnson non la riconosci. E i lettini dove la professoressa Olivia Colman legge Dante e prende appunti sono improponibili.
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