Marco Giusti per Dagospia.com
GIUSTI E GMAX
Venezia. Il giorno dopo. Ma, davvero, chi l’aveva mai visto un film venezuelano a Venezia? E chi si sarebbe mai aspettato che i due massimi premi potessero andare a ben due film sudamericani, uno venezuelano e l’altro argentino? Nemmeno ai tempi di Glauber Rocha, che certo valeva un bel po’ di più del venezuelano Lorenzo Vigas e dell’argentino Pablo Trapero.
Alfonso Cuaron FOTO LAPRESSE
E ricordo bene come Glauber negli anni di Carlo Lizzani direttore urlava contro il presidente di giuria Suso Cecchi D’Amico (“Non sei la sceneggiatrice di Visconti, sei la dattilografa di Visconti!”) che aveva premiato un film di Louis Malle americano e non il suo geniale A idade da terra. Si arrabbiò tanto da morirci.
Altri anni. Ma certo, il messicano Alfonso Cuaron, presidente di giuria, regista premio Oscar per Gravity, con questi premi non ha fatto un gran regalo né a Venezia né al suo direttore uscente Alberto Barbera, proprio l’anno che dovrebbe essere riconfermato. E non si può dire che non abbia fatto un lavoro serio e onesto.
barbera baratta 2014
Perché questo palmarés riporta il festival a una specie di strapaese da Circuito Cinema, quando c’erano sia i film da premiare sia, almeno la prima settimana, le grandi star internazionali. E non basta certo il contentino delle Coppe Volpi agli attori del cinema europeo, Valeria Golino e Fabrice Luchini.
DAKOTA JOHNSON - GUADAGNINO
Ora, ovvio che fosse meglio premiare un’opera prima sudamericana che uno dei tromboni adorati dai critici. E penso a quanti si sono riempiti la bocca con le lodi a Sokurov, a Gitai, a Egoyan. E ovvio pure che la vittoria di un venezuelano quarantenne dimostri di fatto la sconfitta della vecchia classe cinefila post-bertolucciana e post-nouvellevaguista, un dominio che ci insegue da quarant'anni, in pratica da quando vado a Venezia e a Cannes.
luca guadagnino
E ci libera di anni di noiose opere maggiori e minori di maestri spesso mai esplosi, di eterni abbonati all'Excelsior che raramente pagavano gli extra. Un ricambio, insomma, andava fatto. Ma, forse, non così. Non esaltando due operine minori della cinematografia sudamericana che ci sembra di aver già visto tante volte. Meglio ha fatto la giuria di “Orizzonti” che ha premiato opere prime coraggiose e davvero innovative nel linguaggio, come The Childhood of a Leader di Brady Corbet.
beasts of no nation bestie senza patria 1
Ma Johnathan Demme, il presidente della giuria di “Orizzonti”, non è Cuaron, e forse andavano invertiti i ruoli. Perché se un ricambio al post-bertoluccismo andava fatto, andava tentato proprio nel rinnovamento del linguaggio della messa in scena, se non c’erano i temi. Va bene, a esempio, il premio speciale ai pupazzi a passo uno di Anomalisa di Charlie Kaufman e Duke Johnson, ma forse andavano segnalati anche film che avevano diviso il pubblico più che unirlo nella medietà.
Cary Fukunaga
E penso quindi a Beasts of No Nation di Cary Fukunaga, che gira la sua storia pensando alla tv, visto che è il primo film prodotto da Netflix, al folle progetto cinese di costruire “La Divina Commedia” di Dante attorno a una miniera in Mongolia, a A Bigger Splash di Luca Guadagnino, che rilegge La piscina di Jacques Deray per farne un racconto morale di oggi e che è davvero post tutto, post-godardiano, post-bertolucciano, post-rollingstones, ma che lo fa inventandosi un cinema internazionale e una messa in scena personale.
MASTANDREA CALIGARI 1
E questo ha davvero dato noia al nostro cinema, registi o produttori che fossero, che si è visto svergognato proprio nel suo non sapere o non volere o non poter costruire un film internazionale. E penso anche al terzo e ultimo film di Claudio Caligari, Non avere paura, finito ancora una volta fuori dal concorso, dopo anni passati ai bordi della nostra industria, quando valeva molto di più dei due film sudamericani.
francofonia di sokurov 4
Volete stare nel circuito cinema? Volete vivere nelle sale di The Space? Accomodatevi. Fra tanti cineasti, solo il giovane Brady Corbet ha imposto a Venezia la proiezione in 35 mm, perché il cinema è il cinema e non è una proiezione in digitale.
sokurov
Per concludere, un palmarés più rigoroso, più strutturato, avrebbe aiutato a Venezia a uscire un po’ dalla caciara provinciale degli ultimi giorni, magari qualche film andava anche spostato da “Orizzonti” e dal fuori concorso, magari c’erano troppe operine medie, troppi film riusciti a metà, ma non è questo il punto. Sta bene uscire dalla morsa dei cinefili oltranzisti, dei Sokurov e dei Gitai, ma qualcosa all’industria internazionale gliela devi pur dare se vuoi portare avanti Venezia. O no?