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    LA VERA STORIA DI “HISTOIRE D’O” - IL LIBRO CHE NEL 1954 SCANDALIZZÒ LA FRANCIA (E IL MONDO) ESCE IN ITALIA CON UNA NUOVA TRADUZIONE - SCARAFFIA: “POCHI SAPEVANO CHE, SOTTO LO PSEUDONIMO DI PAULINE RÉAGE, SI CELAVA UNA DELLE DONNE PIÙ DISCRETE DEL MONDO DELL’EDITORIA, DOMINIQUE AURY. ANNE-CÉCILE DESCLOS, QUESTO ERA IL NOME CON CUI ERA NATA, VENIVA DALL’UNIVERSO DELL’ESTREMA DESTRA. AVEVA PRATICATO LO SCAMBISMO ED AVEVA FANTASTICATO DI PROSTITUIRSI. QUANDO LE AVEVANO CHIESTO SE LE AVREBBE FATTO PIACERE FARSI PAGARE DA UN UOMO AVEVA CONFESSATO CHE...” - VIDEO: CLIP DAL FILM DETESTATO DALL’AUTRICE


     
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    Giuseppe Scaraffia per “il Venerdì di Repubblica”

     

    “Slacciati la cintura e togliti le mutandine”, intima l’amante di O all’amata, seduta vicino a lui in un taxi. Non basta, O deve alzarsi la gonna e sedersi direttamente sulla fredda finta pelle del sedile, sotto lo sguardo avido dell’autista. Ma era solo l’inizio della bruciante odissea cui si sottoponeva volontariamente la povera O, in un castello dominato da sadici padroni.

    pauline reage histoire d'o pauline reage histoire d'o

     

    Era il 1954, mentre O si offriva seminuda ai desideri di sconosciuti, le gonne scendevano fin sotto il ginocchio, Chanel, a lungo emarginata per i suoi rapporti con i collaborazionisti, tentava invano di tornare sulla scena, e nessuno, tranne che negli ambienti intellettuali, si sognava di contestare il ruolo domestico della donna.

     

    Per questo nessuno, a cominciare da Camus, poteva credere che quel calvario erotico fosse uscito dalla penna  di una donna. Da parte loro i critici, abbagliati o disgustati dall’argomento, non si erano accorti della straordinaria qualità della scrittura.

     

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    Solo il prefatore, Jean Paulhan, una discreta eminenza del più grande editore francese, Gallimard,  aveva intuito che si trattava di “un capolavoro letterario di tipo mistico”. In realtà la straordinaria storia d’amore raccontata in quel libro è al tempo stesso, anche per la tersa qualità dello stile, l’erede e il rovescio di un altro classico, il castissimo “La principessa de Clèves” di madame de La Fayette.

     

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    O è una giovane donna che, per conquistare il suo amante, si offre in un misterioso castello al capriccio lubrico di una serie di personaggi, diventando la loro schiava sessuale. L’iniziazione viene coronata da una bruciante cerimonia: le iniziali di uno dei due padroni, Sir Stephen, vengono impresse sulle natiche rotonde della vittima sacrificale O.

     

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    Basta sfiorarle il sedere per sentire il marchio a fuoco profondo quasi un centimetro. O appartiene a tutti, ma il cuore dell’amato, che gode e soffre assistendo alla sua umiliazione, rimane suo, e i carnefici di O non sanno di essere lo strumento con cui lei soddisfa il suo masochismo.

     

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    Processata in Francia e proibita nel mondo anglosassone, “Histoire d’O”, in libreria per Bompiani l’1 settembre nella traduzione di Andrea d’Anna, avrebbe col tempo superato il milione di copie, partorendo un film detestato dall’autrice. Aury era venuta allo scoperto solo nel 1994, quarant’anni dopo l’uscita del romanzo, a ottantasette anni, in un’intervista al “New Yorker” in cui spiegava il rapporto di O con la mistica.

     

    Ben pochi sapevano che, sotto lo pseudonimo di Pauline Réage, si celava una delle donne più discrete e dissimulate del mondo dell’editoria. Dominique Aury, segretaria della Nouvelle Revue Française, era approdata a Gallimard dopo un percorso atipico.

     

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    Anne-Cécile Desclos, questo era il nome con cui era nata e di cui appena aveva potuto si era disfatta, veniva infatti dall’universo antitetico dell’estrema destra. Un mondo frequentato anche da un futuro eversore come il suo eterno amico Maurice Blanchot. Amante di  un esponente di spicco come Thierry Maulnier, dopo una breve, sfortunato matrimonio con un marito violento, Aury aveva pubblicato articoli letterari tra gli attacchi al Fronte Popolare degli altri. 

     

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    Maulnier non era stato l’unico amante di quella modesta e discreta “suora della letteratura”, chiusa in castigati tailleur dalle tinte smussate. A farsi affascinare dalla “dolcezza inflessibile” dei grandi occhi sotto la fronte alta, non erano solo gli uomini, ma anche le donne. La riservatezza di Dominique infatti nascondeva un’assoluta indifferenza alla morale corrente e il suo impegno a vivere la propria libertà nascondendola alla ristrettezza della società.

     

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    Aveva praticato lo scambismo con amici ed aveva fantasticato di prostituirsi, arrivando a vestirsi da passeggiatrice senza poi avere il coraggio o l’occasione di andare fino in fondo. Quando le avevano chiesto se le avrebbe fatto piacere farsi pagare da un uomo aveva confessato: “Non mi è mai successo, questo è il problema. Immagino che mi avrebbe fatto un grandissimo piacere”.

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    Durante la seconda guerra mondiale, Maulnier, con suo grande dispiacere, l’aveva lasciata – “L’erba è diventata nera” – e la meschina repressività della repubblica di Vichy, asservita agli occupanti tedeschi, l’aveva spinta tra le file della resistenza. Lì aveva collaborato all’editoria clandestina, diffondendo con grave rischio personale materiale eversivo. In quel periodo aveva incontrato i due grandi amori della sua vita, Jean Paulhan e Edith Thomas.

     

    Lei aveva 40 anni, lui ventitre di più. L’altezza di Paulhan contrastava curiosamente con il falsetto della sua voce, ma anche lui, come Aury, resisteva non solo ai nazisti, ma anche e soprattutto al conformismo e all’oppressione della società. Dopo la guerra avrebbe lottato, come lei, contro chi censurava e faceva condannare al carcere e alla fucilazione gli scrittori schierati a destra.

     

    Edith Thomas femminista ed esponente del Partito comunista francese era una donna austera, decisamente eterosessuale, ma Dominique era irresistibile. “Edith, ti ho attirata in una trappola. Ti amo come un uomo ama una donna”.

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    Ma quando aveva saputo della sua relazione con Paulhan, Edith si era ritirata, preferendo la solitudine al compromesso. In un ambiente, quello intellettuale del dopoguerra, in cui tutti cercavano di mettersi in luce, Aury era riuscita abilmente a restare nell’ombra, anche se la sua influenza su Paulhan era immensa. Proprio per mantenere viva la loro relazione, Dominique aveva creato, come una Shererazhade moderna, quello strano racconto.

     

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    L’aveva scritto in tre mesi, in parte a matita, di notte, a casa dei suoi con il figlio nella stanza accanto, coprendo con il lenzuolo la tenue luce della lampada. Mandava regolarmente per posta a Paulhan quelle pagine buttate giù su fogli di taccuino senza preoccuparsi di farne una copia. A volte lui si appartava con lei in macchina per farglieli leggere ad alta voce, sormontando per obbedienza amorosa la sua timidezza. Lusingato ed eccitato, il destinatario avrebbe confessato: “Senza dubbio “Histoire d’O” è la più feroce lettera d’amore che un uomo abbia mai ricevuto”.

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    Il libro, uscito con la prefazione di Paulhan da un editore esordiente, Jean-Jacques Pauvert, che stava pubblicando l’opera proibita del marchese de Sade, all’inizio aveva venduto poco, ma lo scandalo era stato forte. Scrivere un’opera erotica era un rischio reale nel clima benpensante del dopoguerra, ma per l’autrice non c’erano dubbi, perché “amare qualcuno è vivere nel pericolo e nell’insicurezza”.

     

    Come sperava, la complicità con Paulhan aveva ulteriormente avvicinato gli amanti, trasformando il loro rapporto in una società segreta. In quell’impresa carica di rischi, Dominique aveva ritrovato il gusto della clandestinità assaporato durante la resistenza. “Era una cosa pericolosa e ero sempre stata una che amava il pericolo”.

     

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    La posta in palio era alta, spiega la sua biografa Angie David, si trattava di svelare la sessualità femminile “fatta di fantasmi di sottomissione, di dolore, di bisessualità e d’amore”. Grazie al sensuale martirio di O, le donne “queste mute millenarie, mute per prudenza, per decenza, ognuna con in testa un universo amoroso che non è necessariamente quello di O” erano uscite allo scoperto: “Tacevano, beh é finita, parlano e parleranno”.

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