CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL GIORNO: “QUANTE…
Lucia Esposito per “Libero quotidiano”
Giulia Ligresti arriva avvolta in un lungo cappotto bianco, gli occhi azzurrissimi ingiustamente coperti dagli occhiali da sole. L' appuntamento è per l' ora di pranzo alla Galleria Glauco Cavaciuti in via Vincenzo Monti a Milano, dove in serata l' imprenditrice presenta la sua prima mostra personale intitolata "Love", una collezione di oggetti di design interamente realizzata a mano.
Giulia Ligresti ha voluto celebrare l' amore, un approdo sicuro e mai certo, esposto ai venti della passione, ai turbamenti dell' anima e allo scorrere del tempo. Eppure una necessità, un grido dirompente. «È il più alto dei sentimenti ma è anche il più imperfetto. Talvolta scivola via sinuoso e liscio, altre volte è complicato, difficile, come una strada in salita.
Allo stesso modo le sedie, le consolle, i divanetti, i tavoli e le sculture realizzati in ferro, alluminio, ottone e bronzo rappresentano la solidità ma anche l' imprevedibilità. Il velluto, per esempio, è un tessuto morbidissimo ma, se toccato in senso contrario, è anche ruvido». Il risultato è una collezione di pezzi unici, vere e proprie opere d' arte che da oggi sarà possibile ammirare presso la Galleria Cavaciuti.
lo stupore Giulia passeggia tra i suoi oggetti ed è quasi stupita, come se ammirasse le sue creazioni per la prima volta.
È orgogliosa come una mamma davanti ai propri figli. «Sono davvero contenta. È bella, vero?», dice accarezzando la consolle dorata dove campeggia la scritta "Love". «Di questa collezione mi ha folgorato la capacità della Ligresti di trasformare oggetti d' uso comune, come un tavolino o una sedia, in opere d' arte. Queste creazioni trasmettono gioia e guardandole è scattata in me, come spesso accade davanti al bello, la voglia di possesso», spiega il gallerista Glauco Cavaciuti.
Ci aspettavamo di trovare una donna incazzata col mondo. Con i giudici che ti sbattono in galera anche se sei innocente. Con i giornali che, invece, ti sbattono in prima pagina. Credevamo di trovare una donna distrutta per aver perso l' azienda di famiglia, schiacciata da un guaio giudiziario lungo sei anni e da due accuse pesantissime e infondate: falso in bilancio e aggiotaggio. Invece no.
Giulia Ligresti, durante l' incontro, ripete più volte che non vuol passare da vittima, né intende discutere di malagiustizia. Anzi, di quella vicenda che coinvolse tutta la sua famiglia e che si è conclusa con la piena assoluzione, preferirebbe non parlare affatto.
Tuttavia, per capire le sue opere e la potenza di quel "Love" che rimbalza dalla sua collezione, non si può prescindere da ciò che è successo un giorno d' estate del 2013 quando è stata presa e portata in una cella d' isolamento nel carcere di Vercelli. «La prigione è stata per me una prova durissima, però ne sono uscita più forte di prima. Sono felice anche se non riesco a non pensare a tutti quelli che si trovano in una situazione simile a quella che ho vissuto io», si lascia sfuggire.
Non sappiamo come sia possibile tutto ciò, ma la Ligresti, figlia di Salvatore, re del mattone, fondatore della galassia Fonsai, scomparso nel maggio del 2018, non nutre odio né ha sete di vendetta. «La vera vendetta è la mia felicità. L' amore è il fil rouge della mia vita. Sono stata molto amata. Da mio padre, prima di tutti». Fa una pausa brevissima e poi continua: «E poi dagli uomini, dai miei figli, dagli amici.
Sono stata inondata da questo bene e a mia volta ho amato molto. Intensamente», confessa e poi le si accende il ricordo di una frase che ha letto la prima sera che è arrivata in carcere a Vercelli. Era firmata da una detenuta di nome Lucia.
Giulia la recita come una poesia: «Ringrazio tutti coloro che mi odiano perché grazie a loro ho imparato ad amare di più. Queste parole mi hanno dato la forza. A San Vittore ripetevo tante volte al giorno "unbroken", che vuol dire "non farti spezzare"».
Si è laureata a pieni voti in Economia aziendale alla Bocconi, ha frequentato corsi di Business Administration al Queen Mary College di Londra, ha ricoperto ruoli dirigenziali che hanno sempre fatto prevalere il suo lato logico e pragmatico.
«Con questa mostra ho voluto dare voce alla mia creatività che, a dire il vero, non ho mai silenziato».
lo sport La secondogenita di Ligresti non è mai bastata a se stessa. Giulia ha tre figli ormai grandi, ma si occupa anche tutti i bambini della Vanaprastha Children' s Home a sud di Bangalore che aiuta a distanza, in più ha un progetto per i piccoli siriani: raccogliere fondi per comprare attrezzature sportive.
«Lo sport salva. L' ho provato in carcere, ogni giorno correvo per chilometri lungo il quadrato del cortile di San Vittore, era un modo per scaricarmi e allo stesso tempo per trovare nuove energie. Vorrei dare una mano a tutte le donne vittime di ingiustizia nel mondo. Ho in mente qualcosa, ma ne parlerò a suo tempo. Sono riuscita a difendermi, ma non tutte hanno la possibilità di farlo. Voglio fare qualcosa di concreto per queste persone, perché purtroppo so cosa si prova».
Giulia Ligresti spinge avanti il tempo e parla al futuro, ha davvero chiuso i conti col passato. Ha vinto lei. E lo si capisce pure dalle sue opere, quando in mezzo a tanti "Love", appare una poltroncina con la scritta "Fuck" in nero. Vaffanculo. È un urlo silenzioso. A chi è rivolto? Giulia scoppia in una grandissima risata.
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«Chi vuole intendere, intenda».
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