Estratto dell’articolo di Giacomo Amadori per “La Verità”
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Quando si tratta di affari Massimo D’Alema non è un tipo schizzinoso. Lo dimostrano le frequentazioni borderline del Colombia-gate, che gli hanno fatto guadagnare una perquisizione e un’iscrizione sul registro degli indagati della Procura di Napoli con l’accusa di corruzione internazionale aggravata. Ma anche di fronte all’evidenza, con alcuni giornali amici, l’ex premier aveva provato a smentire un suo coinvolgimento prezzolato nell’affare delle armi.
Quasi contemporaneamente Baffino ha anche tentato di negare i rapporti con gli avvocati-faccendieri Piero Amara e Giuseppe Calafiore, quelli che avrebbero inventato di sana pianta l’esistenza della fantomatica loggia Ungheria, di cui la Procura di Perugia, dopo lunghe indagini, non ha trovato traccia.
Relazioni pericolose anche queste rivelate dalla Verità. Ma pure in tal caso l’ex ministro degli Esteri viene smentito clamorosamente: dal verbale segretato di un suo presunto sodale, il cui contenuto il nostro giornale è in grado di svelare. Ma partiamo dall’inizio.
Nel settembre del 2021 avevamo pubblicato ampi stralci della trascrizione di un colloquio tra Calafiore e il lobbista esperto di pubbliche relazioni Alessandro Casali, una registrazione effettuata dal primo all’insaputa del secondo. E il colloquio con Casali è ricco di suggestioni, essendo il cinquantasettenne spoletino un grande anfitrione di cene e convegni e frequentatore di politici, professionisti e magistrati (come Luca Palamara e Giuseppe Pignatone).
alessandro casali massimo d'alema
Nell’audio, risalente al 2020, Calafiore prova a convincere il pierre a riprendere le fila di un ipotetico affare di cui avrebbero iniziato a discutere nel 2017 proprio con D’Alema presso gli uffici della fondazione Italianieuropei. Ma nel 2018, dopo l’arresto dei due faccendieri, la trattativa si sarebbe interrotta. Nel 2020 i legali siciliani tornano alla carica e cercano di riaprire il canale con il politico […].
Casali immagina le possibili obiezioni. Ma è convinto che non saranno insormontabili: «La domanda è: lui mi dirà “sì, ma visto quello che è successo”, perché lui ovviamente è uomo attento (sopra a «lui» si legge «D’Alema», ndr). Tu pensa non mi ha detto “A”, ha detto “mi spiace per quegli amici”; “sì purtroppo non è neanche tutto quello che si dice”, gli faccio io. E lui mi dice “spesso è così”. Sono le uniche parole e frasi che sono state dette sulla vicenda. No per dirti lui com’è, perché mi poteva dire “Oh!”, no? “Tu devi stare attento a chi ti porti”, lo poteva dire benissimo, non me l’ha detto. Mi ha detto “Ale...”».
MASSIMO DALEMA
Calafiore ribatte: «Vabbé, ma non è che lui quando parlava con noi non sapeva con chi parlava». Casali è d’accordo: «No, certo. No, no, all’inizio no, eh, poi si è informato». Calafiore ricostruisce: «Mi ricordo che tu mi dicesti: “Beppe si è informato coi suoi amici dei servizi” (D’Alema è stato al vertice del Copasir, ndr)». Poi azzarda: «Gli avranno detto “ci puoi parlare sono gente seria”». Quindi chiede: «[…] Come vuoi che ci muoviamo?
Ti informi?». Casali: «Subito, io lo vedo tutte le settimane».
Calafiore: «E mi dici…». Casali: «Perché siete ritornati in auge…».
L’argomento intorno a cui ruota tutto è un contenzioso milionario tra l’Eni e una piccola società impegnata nel settore dell’energia, la Blue power di Francesco Nettis, ex socio di Baffino (ma Max ha provato a negare anche questo sodalizio). Un accordo, sostengono i due interlocutori, da 120-130 milioni, di cui il 10 per cento doveva essere spartito tra D’Alema e il Gatto e la Volpe siculi.
Alcuni mesi dopo il nostro articolo, nel maggio del 2022, D’Alema viene sollecitato dal quotidiano Domani sui presunti incontri con Amara e Calafiore, che tanto assomigliano ai broker e ai paramilitari della trattativa per le armi da vendere all’esercito di Bogotà: «Conosco Casali, ma con Nettis non c’entra nulla» assicura Max. «Amara poi presso la fondazione non ha mai messo piede. Non ho mai avuto incontri con lui, mai discusso di questa questione, sarebbe stata la persona meno indicata per fare una cosa così». L’ex ministro degli Esteri nega anche ogni frequentazione con Calafiore: «No, non lo conosco assolutamente, mai andato a pranzo o a cena, che mi ricordi. Non ho alcun rapporto particolare».
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E sul legame con Casali, definito a un certo punto persino «un cazzaro» e «un millantatore», ammette: «Qualche volta mi invita a cena, parliamo di due o tre volte l’anno […] ho molti dubbi che possa aver detto quello che lei mi dice. Forse al bar, ma non a lei o a un magistrato».
In realtà Casali lo ha smentito proprio davanti al procuratore di Perugia Raffaele Cantone, il quale per mesi ha investigato sulla possibile esistenza di Ungheria. E dopo aver iscritto sul registro degli indagati per la violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete Casali e Amara (e altri sette soggetti) e averli interrogati, deve essersi convinto che la vicenda […] meritasse un approfondimento.
E per questo ha trasmesso le carte nel capoluogo lombardo, mentre nella richiesta di archiviazione per Ungheria ha appuntato: «Le registrazioni (con Casali, ndr) contengono riferimenti ad altre vicende (quella in particolare su Blue power) ed altri soggetti (i rapporti che vi sarebbero stati fra Casali, Amara, Calafiore e l’onorevole D’Alema) certamente di interesse investigativo e che saranno oggetto di approfondimento sia pure non da questo ufficio».
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[…] All’interno del fascicolo c’è anche il verbale dell’interrogatorio reso (e segretato) il 22 novembre 2021 da Casali a Perugia. Dove l’indagato ha confermato ai magistrati i suoi rapporti con D’Alema e come questi, prima di appassionarsi agli armamenti, si fosse già seduto al tavolo (anche a cena) con faccendieri del livello di Amara e Calafiore.
All’epoca i due non erano ancora stati arrestati (la cosa sarebbe accaduta da lì a qualche giorno) e frequentavano due personaggi collegati al mondo dalemiano e alla fondazione Italianieuropei, come Paolo Quinto e Andrea Peruzy (i quali hanno partecipato anche a una riunione videoregistrata con Amara acquisita dai pm).
Massimo D' Alema al timone di comando del Baltic 51 Icarus - 1998
Pochi giorni prima che venisse ascoltato Casali, il 3 novembre 2021, anche Amara era stato chiamato a riproporre il suo show, durante il quale aveva ripetuto quanto già raccontato in altri lidi. Nell’occasione il faccendiere fa mettere a verbale, a proposito dei colloqui con Casali, quanto segue: «Nel corso della conversazione intercorsa con me e in quelle con Calafiore, si fa riferimento a una specifica vicenda. Vi è una società di nome Blu power gestita da un certo Nettis, imprenditore vicino a D’Alema e Roberto De Santis. La società disponeva apparentemente di un brevetto per il trasporto del Gpl. Vi era stato un arbitrato tra tale società e l’Eni. Si trattava di una finta controversia che serviva a fare uscire del denaro senza alcuna giustificazione.
Casali, ad un certo punto, mi chiese di incontrare D’Alema alla Fondazione Italianieuropei. Sino a quel momento io di Blu power non sapevo nulla. L’incontro avvenne due settimane prima del mio arresto. D’Alema mi disse che non sapeva se dovesse o meno avere un incontro con me. Mi disse “ho accettato di incontrarla”, come se fossi stato io a chiedere l’incontro. Affermò che era stato chiamato da vertici dell’Eni e che, nel loro interesse, aveva convinto Nettis ad accettare un accordo di circa 70 milioni di euro (nell’audio, però, lui e Calafiore fanno riferimento a una cifra più alta, ndr).
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Aggiunse che tutti erano d’accordo, salvo Vella (Salvatore, ex dirigente del Cane a sei zampe, ndr). Mi chiese, pertanto, di intervenire su di lui. In quell’occasione si creò un bel rapporto con D’Alema, tanto che andammo a mangiare tutti insieme in un ristorante giapponese di Roma. […] Secondo tale accordo il presidente D’Alema avrebbe ricevuto il 40%, io e Calafiore il 30%, Casali il restante 30%. A differenza delle altre vicende, in questo caso io avrei guadagnato parecchi soldi in poco tempo. La somma destinata a D’Alema sarebbe stata in parte (3 milioni, ndr) destinata alla nuova forza politica Leu (Liberi e uguali) che era in corso di costituzione».
I DALEMA BOYS CON I COLOMBIANI A BOGOTA IL 27 GENNAIO 2022
Amara ha raccontato ai magistrati un aneddoto sul suo primo appuntamento con D’Alema, il quale gli avrebbe detto: «Io prima di incontrarla mi sono informato su di lei, c’è chi dice bene, c’è chi dice male...». E a proposito della serata con l’ex segretario del Pds al ristorante Zuma ha soggiunto: «D’Alema pigliava (in giro, ndr) Renzi e il modo in cui lo prendeva per il culo era veramente stupendo. Per quello per noi era un mito in quel momento». Il procuratore chiede se ci siano foto di quella serata e la risposta di Amara è affermativa: «Lui, Peppe, per degli amici, per far vedere che stavamo a cena con D’Alema […] Peppe gli ha fatto la foto. Ma D’Alema non penso che negherà perché poi lui c’è stato anche a casa».
MASSIMO DALEMA E L INTERVISTA SULLA CINA
Nella versione che Amara e Calafiore hanno rammentato a Casali nel 2020, registrando di nascosto, la cifra per chiudere l’accordo, come detto, avrebbe dovuto essere di 120-130 milioni. Ma i due non sapevano che nel 2019 la trattativa si è chiusa con un pagamento di 35 milioni […]
[..] Nel suo verbale, Casali, che nel frattempo ha visto fallire una delle sue creature, la Meet comunicazione, spiega di aver conosciuto Amara a una cena e che gli era stato presentato dall’imprenditore turbo-renziano Andrea Bacci, per un periodo socio dell’avvocato di Siracusa.
Quindi rivendica la sua onorabilità e l’amicizia con Baffino: «Contesto la definizione data della mia persona da parte di Amara di “faccendiere.” Io sono una persona seria […]. Ciò posto, conosco molto bene il presidente D’Alema, lo stimo e spero vivamente che possa ancora avere degli incarichi istituzionali di rilievo al di là del mio orientamento politico».
E in una delle registrazioni offre alcuni dati sensibili dell’amico: «Sai che adesso lui fa l’advisor di Ernest&Young? È un grande». In un altro passaggio riflette soddisfatto: «Quindi qualsiasi cosa passa su Ernst». Poi aggiunge: «L’Ernst&Young gli dà 200.000 euro l’anno, che non è poco. Ha detto che gli ha portato più business lui in tre mesi che gli altri in cinque anni. Ha detto: “Ale, mi sono guadagnato lo stipendio dei prossimi cinque anni”».
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Casali trilla pure: «Stiamo lavorando insieme con il presidente che è più potente che mai». E quando Calafiore gli ricorda la transazione tra Eni e Blue power, che in verità è già conclusa, ma lui non lo sa, il pierre cerca rassicurazioni, perché anche se «è Massimo che comanda», bisogna mettere alcuni paletti e informare Nettis che deve «firmare un contratto con una società di advisor seria», la loro.
In Procura Casali ha, ovviamente, affrontato la questione: «Ho incontrato Giuseppe Calafiore alcune volte e ricordo che era molto incalzante, mi faceva molte domande, come se volesse farmi parlare a tutti i costi di un contenzioso per il quale avrebbe dovuto darci “una mano" il presidente D’Alema. Lui voleva infatti che il presidente D’Alema intervenisse in un contenzioso. Ho avuto l’impressione che volesse incastrarmi facendomi dire delle cose che poi ho ritrovato su un articolo di giornale.
PIERO AMARA
Quindi, solo in quel momento ho compreso che mi aveva effettivamente registrato. Le cose che ho detto in occasione di quel colloquio, ad un certo punto. le ho esternate quasi per voler chiudere il discorso, come “boutade”. Tanto che non si è concluso nulla dell’affare che era stato ipotizzato. almeno per quanto a mia conoscenza».
Sin qui sembra che Casali parli di una storia del tutto inventata, ma a questo punto il verbale prende un’altra piega: «Si trattava di un contenzioso effettivo e Calafiore mi chiedeva se il presidente D’Alema fosse in grado di darci una mano. Si trattava di una società di nome Blue power di cui mi aveva parlato tempo prima anche Piero Amara, dicendomi che se ne era occupato anche Roberto De Santis. Io ne parlai con il presidente D’Alema che non accettò alcun coinvolgimento».
I MESSAGGI WHATSAPP CON IL FILE AUDIO DELLA CONVERSAZIONE DI MASSIMO DALEMA
[…] In realtà, come detto, qualche abboccamento ci fu. Casali dà questa versione: «Organizzai la presentazione di Amara al presidente D’Alema unitamente alle nostre mogli e a Calafiore e la sua compagna. Tuttavia, Amara non venne in quella occasione. Ciò avvenne certamente prima del loro arresto e la cena fu al ristorante Zuma. Quindi portai in seguito Amara alla fondazione per presentargli il presidente. Che, infine, non venne coinvolto in nulla. […] Il mio compito era garantire l’intervento del presidente D’Alema che non andò in porto. Dopo tanto tempo, Calafiore mi invitò ad una colazione in un bar e mi parlò nuovamente della vicenda. Non ricordo il nome del bar dove mi incontrai con Calafiore».
I magistrati chiedono se si trattasse del bar Rosati e a Casali sembra tornare un po’ di memoria: «No. Al bar Rosati incontrai qualche volta Amara e non posso escludere che parlai anche con lui di questa vicenda. […] venni coinvolto nei termini sopra riferiti da Amara e Calafiore, sapendo i miei rapporti con il presidente D’Alema, il quale, ritengo, avrebbe dovuto parlare con i vertici Eni. Io parlai con il presidente D’Alema, che mi disse che non se ne sarebbe fatto nulla. Non ho mai trattato con la proprieta di Blue power, che io non conosco in alcun modo. È stato un discorso del tutto informale. che non è stato formalizzato in alcun modo tra me, Amara e Calafiore».
CARLOS FERNANDO SILVA RUEDA
Casali con i magistrati ammette di aver ricevuto da Amara due pagamenti da 5.000 euro l’uno con fattura intestata alla sua società Meet: «La mia attività è stata solo quella di andare in giro e “sponsorizzare" lo studio Amara».
I magistrati, con in mano la trascrizione della conversazione con Calafiore, provano a insistere: «Ricorda come era l’accordo in merito alla spartizione del profitto laddove l’affare Blue power fosse andato in porto?». Casali, che nella registrazione pareva stare al gioco, prende totalmente le distanze anche da se stesso: «Si è trattata di una sorta di “farneticazione”. Discutemmo di percentuali in modo assolutamente vago, del tipo del 30%, 30% e 40% ciascuno.
Ma ribadisco che il discorso rimase assolutamente sul vago perché la vicenda non si concretizzo in alcun modo. E che io non conosco la proprietà della Blue power. Speravo in buona fede che il contenzioso si potesse risolvere e che ognuno potesse trarne degli utili, ma sempre nell’ambito della legalità. Ricordo di aver ad un certo punto fatto riferimento ad una donazione a Leu laddove l’affare fosse andato in porto».
PIERO AMARA
I pm insistono: «Lei non si rese conto della anomalia dei colloqui con Giuseppe Calafiore?». Casali accetta di fare la figura del fesso: «Non mi resi conto perché ero assolutamente in buona fede. Riconosco oggi di aver sbagliato e di essere stato superficiale, ma tale comportamento è stato dettato dalla esigenza di non mandare a gambe all’aria la mia società. Voglio precisare che ero disperato e avevo l’esigenza di salvare la mia azienda. Io sono stato tratto in inganno e sono caduto nel tranello, che è stato ordito da Amara e Calafiore.
E ciò riprova il fatto che sono una persona per bene. Escludo categoricamente di essermi accordato con loro, nel senso di aver accettato di essere registrato per far emergere determinate circostanze».
[…] i pm di Perugia si sono convinti che anche se Casali & C. non appartengono alla massoneria deviata della fantomatica Ungheria, forse nelle loro chiacchierate, in cui viene abbondantemente citato D’Alema, potrebbe esserci qualcosa in più di una semplice «boutade».
I DOCUMENTI CHE DIMOSTRANO LO STATO DELLE TRATTATIVE DEI DALEMA BOYS CON LA COLOMBIA il servizio de le iene su massimo dalema e la compravendita di armi con la colombia 4 l atto che dimostra la conoscenza di gardo con dalema