accorsi
Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia
Caro Dago, stamane ascoltavo alla radio la vexatissima quaestio se sì o no Stefano Accorsi ha lordato piazza San Marco, il cuore della “grande bellezza veneziana”, col mangiare un trancio di pizza alle tre di notte. Non si fa, non si fa, recitava qualcuno. Perché Piazza San Marco è sacra. E dunque che l’episodio in cui Accorsi si sarebbe comportato come “un barbaro” non si ripeta. Povero Accorsi, che Dio lo abbia in gloria e lo preservi da una tale imbecillità.
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Ora che il turismo di massa sia nutrito essenzialmente da barbari, non ci piove una sola goccia. Un ricordo di vent’anni fa. Ero a Piazza San Marco con accanto Cleto Munari, uno degli artefici della storia del design italiano. Aveva piovuto a strafottere, l’acqua in Piazza San Marco era alta 30 centimetri e perciò avevano apprestato delle passerelle su cui io e Cleto e stavamo passeggiando. A un certo punto arrivammo all’altezza del celeberrimo negozio Olivetti, il capolavoro che l’architetto Carlo Scarpa aveva realizzato nel 1956.
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Il negozio era chiuso, la passerella distava dal negozio un paio di metri. Io e Cleto ci fermammo comunque a guardarlo, come si addice a una tale icona. Ebbene c’erano due giapponesi che non avranno avuto nemmeno trent’anni che si erano tolte le scarpe, si erano tolti i calzini, avevano raggomitolato al ginocchio i loro pantaloni ed erano scesi nell’acqua, e stavano con il naso attaccato alla vetrata a guardare seppure da fuori il capolavoro di Scarpa.
Nessunissimo italiano che passasse accanto a me e a Cleto si fermava a dare un’occhiata, probabilmente ignorando tutto del negozio Olivetti. Due giapponesi sì, nessunissimo italiano. Se non sono dei barbari questi. Altro che un trancio di pizza alle tre di notte.
negozio olivetti piazza san marco venezia carlo scarpa GIAMPIERO MUGHINI
GIAMPIERO MUGHINI
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